Nella lavanderia cinese di Brocculinu, Mastro Ciccio aveva avuto una discussione con lo stiratore. La ragione era dell’italiano, ma il cinese aveva il coltello.
- Ho un bel coltello per te… – gli disse minaccioso.
Si ritrovò un pistolone sotto il naso: – Put it down or I shoot you! (Posalo o ti sparo!). Di colpo riacquistò l’antica, celebrata saggezza cinese e diede ragione a chi aveva ragione. Mastro Ciccio prese il coltello, richiuse la lama e se lo infilò in tasca.
- La prossima volta – gli sibilò minaccioso – ti taglio il codino col tuo stesso coltello!
E questa minaccia sembrò atterrire il cinese più di quella di buscarsi una pistolata. Infatti i cinesi emigrati potevano rientrare in patria solo se avevano mantenuto integro il codino. O, almeno, così si diceva.
A Don Alfio quel calabrese che pensava solo a lavorare e a farsi gli affari suoi era sempre andato a genio ma, ora che aveva saputo il fatto del cinese, pensò che era bene che entrasse a far parte della “famiglia”.
- Mastro Ciccio – gli disse – un giorno di questi vi vorremmo regalare un vestito… di quelli nostri…
Mastro Ciccio finse di non capire:
- Vi ringrazio – si schermì – ma di vestiti ne ho già cinque, tra vecchi e nuovi. Vi ringrazio per il pensiero, sarà per un’altra volta.
E così non entrò a far parte della “famiglia”.
Una famiglia, ma di tipo tradizionale, pensò a farsela quando rientrò in Italia. Ma non gliela volevano dare Caterinuzza a mastro Ciccio: troppo grande la differenza d’età.
- Brava persona, onesto, lavoratore… ma è grandetto!
E Caterinuzza:
- E chi l’haju a fari bullitu e non si coci?
Invano le prospettarono gli anni che avrebbe trascorso facendo da infermiera e la lunga vedovanza che, pe’ leggi naturali, l’avrebbe attesa[1]. Non c’era verso di farle cambiare idea.
Mastro Ciccio aspettava con pazienza. Aveva già qualche capello bianco per pensare a colpi di testa. Tanto… “Matrimoni e viscovati di lu celu su calati”: se era destino… si sarebbero sposati. Era destino e si sposarono.
Il vestito del matrimonio andò ad aggiungersi a quelli portati dall’America ed il più vecchio di quelli, ormai così logoro da non potersi più usare né per la festa né pe’ ogni jornu, fu adibito a vestito da lavoro. E così si logorò del tutto: dopo qualche tempo i pantaloni erano così pieni di strappi, buchi, sfilacciature che erano buoni solo per Marcantrosciulu, lo spaventapasseri dell’orto cui Mastro Ciccio aveva affibbiato quel nome accorpando Marcantonio e strosciulu (ciarpame, vecchio oggetto inservibile). Così Caterinuzza pensò di fare una sorpresa al marito e, mentre questi era fuori, gli rammendò i pantaloni e glieli lasciò sul letto.
Al ritorno, mastro Ciccio trovò i pantaloni senza nemmeno il più piccolo strappo ma… con un inconveniente: tutti quei rammendi li avevano così ristretti che non riusciva più ad infilarseli. Lanciò la solita chilometrica imprecazione:
- Gorahella[2] la natura bestia cu ruttura d’anchi e nuci di coddhu, scasciu chi mi ndavi ddhu cornutu di lu diavulu e so’ figghju trumbetteri: Vittorio cu la manovella!
Poi, come al solito, la prese a ridere.
Quando rientrò, Caterinuzza trovò ancora i pantaloni sul letto con questo biglietto: “E ora chi ti trovavi, gnura maiscia, non c’eri cuggiutu puru li gamberi?”.
[1] E invece Mastro Ciccio, più grande di 17 anni, per quasi altrettanti sopravvisse alla moglie.
[2]Go to Hell! = Vada all’Inferno!