Un numero crescente di intellettuali ma anche di gente comune sta riscoprendo un concetto che nasce a Berkeley, in un gruppo di studio sul contributo che la psicologia può dare alla crisi ecologica, intorno alla figura di Robert Greenway (nomen omen…). Capra lancia L’ecopsicologia nel ‘97. Questa nuova arte psicologica “invita la pratica psicoterapica a espandere la sua attenzione oltre il paesaggio interiore… Verso l’anima del mondo. Ci invita a sentire la terra che parla attraverso il nostro dolore e disagio e ad ascoltare noi stessi come se stessimo ascoltando un messaggio dell’universo”. Tutto questo per le forti crisi climatico-ambientali degli ultimi tempi. Per l’ecopsicologia esiste un legame imprescindibile tra uomo e natura e la realtà non va considerata come un insieme di mattoncini da studiare ma sulle connessioni che esistono tra materia e spirito. Bateson affermò che struttura della natura e struttura della mente sono una il riflesso dell’altra. La mente fa parte della realtà materiale e insieme ad essa deve essere presa in esame. Questo implica, per esempio, il riconoscere che i disastri ecologici che abbiamo causato sono dovuti non a cattive intenzioni ma a una cattiva epistemologia, ossia a un modo di pensare al mondo e a noi stessi non ecologico. Bateson infatti fonda l’ecologia della mente considerando che la qualità del rapporto che costruiamo con il mondo dipende dalla connessione che abbiamo con noi stessi. Come può l’uomo conoscere i sistemi viventi, si chiede. La logica da sola non basta. Servono molte branche della conoscenza, fra cui anche l’arte e la poesia, che servendosi di metafore e narrazioni, si riferiscono sempre a relazioni. Si assiste così a un passaggio culturale, da una biosfera priva di mente, a una che germina attraverso il processo mentale.  Oltre alla biosfera (parte esterna della terra in cui si manifesta la vita), alla troposfera (sede dell’aria che respiriamo), alla stratosfera (sopra le nubi fino a 50 km di altezza, comprendente la fascia dell’ozono), dobbiamo considerare anche la noosfera (dal greco nous, mente superiore), la sfera della mente, l’insieme dei pensieri, degli ideali e dei valori dell’umanità. Questo campo attivo si rivela un elemento fondamentale, sulla bilancia dell’equilibrio ecologico. La noosfera riporta all’inconscio collettivo di Jung, ma anche al mondo delle idee platonico. La definizione si deve a Vernardskij, che intuì che animali, vegetali ed atmosfera, attraverso i cicli del carbonio, idrogeno, azoto e ossigeno, formano un unico sistema. Oltre a Teillard de Chardin, anche James Lovelock e Lynn Margulis si sono ispirati a questa visione, nella considerazione della terra come un organismo autoregolantesi. Il concetto di noosfera è stato studiato a fondo alla Princeton University, in Usa negli anni ‘70. Dal ‘98 il progetto si amplia e diventa “Global consciousness project”, una ricerca internazionale multidisciplinare che mette al lavoro scienziati e ingegneri. Un gigantesco database mondiale registra dati come incidenti, terremoti, fasi lunari, finali di calcio, grandi concerti, per verificare se i sistemi causali cambiano quando la coscienza umana diventa coerente in una direzione con numeri significativi. Vennero anche registrati i momenti in cui più dell’1 % della popolazione meditava in una certa città, e si vide che gli atti di criminalità diminuivano… effetto Maharishi… Quindi sì, cambiando il modo di pensare si influisce sulla realtà. Dall’ecologia superficiale si arriva all’ecologia profonda verso il ‘73, dopo la conferenza sulla ricerca del futuro nel terzo mondo, che si svolse a Bucarest. Oltre al Club di Roma vediamo ovunque ricercatori che si pongono il problema della questione ambientale, guidati da economisti e sociologi come Ivan Illich. Il vasto movimento dell’ecologia profonda si basa su una visione olistica della realtà in cui l’uomo è inserito nel tutto. E’ una visione ecocentrica e non più antropocentrica che ripensa all’organizzazione della società e al posto dell’uomo nella natura. Il mondo non è piu’ una serie di oggetti separati, ma una rete di fenomeni interdipendenti, conoscibile attraverso l’intuito e la sensibilità; ogni forma di vita ha valore in sé, indipendentemente dagli obiettivi umani e produttivi. Papa Francesco nel 2015 scrive “Laudato sì. Sulla cura della casa comune”, segnando un grande passo avanti nello sviluppo di una coscienza planetaria, di una cittadinanza terrestre.