Nel progresso che incalza, nella civiltà che si evolve, negli eventi che si succedono, nel faticoso e disambiguo peregrinare dell’uomo, la “verità”, come sinonimo di infallibilità e di sapienza, appare in un dinamismo fallibile ed incerto.

Ma “sia lode al dubbio!” – scrive B. Brecht – che, superando il bavaglio delle ideologie ed il blocco della scienza, alimenta il processo della libertà, riaccende il bisogno di infinito, l’inquietudine della passione, la forza della riflessione, la ricognizione del dolore. Del dolore cosmico, del dolore universale, del dolore che scava l’abisso.

Lo spirito e la mente frugano negli archivi delle epoche, nei meandri del narrato, che si popolano di personaggi, di evoluzioni, di cambiamenti; svelano condanne e redenzione, ferocia e perdono.

Nessuno ne esce illeso.

“Occorrono molti colpi di martello per configgere un chiodo; occorrono molti colpi di frusta per piagare una spalla; occorrono molte spine per formare una corona” (Galeone).

Il mondo cristiano vive il periodo della redenzione e della resurrezione di Cristo, dopo i giorni del trionfo di Gerusalemme e della passione del Golgota.

Nessuna letteratura e nessuna biografia, al di fuori di quella di Cristo, è paragonabile alla Passione dell’uomo. Cristo – Uomo, Uomo – Cristo. È l’uomo il crocifisso di ogni tempo. Storia sacra, storia umana.

Le tradizioni, i riti religiosi, il fecondo simbolismo, non più fantasmi: prendono corpo ed anima. Inondano i vicoli, le strade, le chiese, le cose, le cattedrali. Le scene, le atmosfere, le suggestioni, si riappropriano dei loro spazi. Come onda lunga. Quanto è contenuto nei Vangeli, avviene qui, ora. Il deserto e le solitudini di oggi, come l’Orto degli Ulivi, la complicità delle mode, come la diplomazia di Pilato; le ragioni di Stato, come il bacio di Giuda; il silenzio dell’Umanità, come il sepolcro di Cristo. Il suo silenzio prima della Resurrezione. Morte della morte, che diventa vita.

È il messaggio, sempre attuale, che proviene dalla Pasqua. Credere nella speranza e nella gioia; aprirsi al bene e alla vita, non sono utopie. Sono la forza che proviene da quel passato, da quel vissuto, da quel dolore. Dalle tradizioni, il nostro canto; il mistico rapimento dai borghi e dalle chiese abbandonate; dal silenzio, la riflessione che “non può chiudersi in un circuito mentale, ma deve estendersi in ragioni più profonde” (A. Signorini).

Tornare alla vita che, forse, abbiamo perduto vivendo; rientrare nella saggezza che abbiamo smarrito nell’informazione distorta. Valgono le illuminate parole di Benedetto XVI nel discorso all’Università di Ratisbona: nel “percepire tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle”.

E vale la pena riflettere e trarne le giuste considerazioni, in questo tempo della storia che “ci ha condotti più lontani dalla Verità e più vicini alla polvere”.

Dal buio del Sepolcro alla luce della Verità. È possibile. Perché “nessuna notte buia potrà impedire al sole di risorgere” (J. Morrison).