IL TROJAN DELLA DISCORDIA

di Ilario Ammendolia

In Calabria siamo tutti potenziali “figli” di trojan!
Si tratta di un sistema informatico che, come un padre patologicamente apprensivo, applicato al cellulare non solo ascolterà ma vedrà qualunque cosa voi facciate: origlierà i vostri discorsi, vedrà la vostra nudità, entrerà nella vostra intimità.
George Orwell ne “Il grande fratello” non avrebbe mai immaginato una tale invasività nelle nostre vite. Ci diranno che il trojan serve per tenere a bada i delinquenti ma in verità sarà un’arma letale nelle mani del “potere legale-criminale” per ridurci, ancora di più, a un gregge di pecore. Per esempio, “immagino” (in verità ne sono certo) che il trojan sia stato sperimentato nella nostra zona e non contro i “criminali”. Per farcelo accettare faranno leva sulle nostre paure, ci diranno che ci proteggerà dai “cattivi” e che mentre noi dormiamo come angioletti, il trojan sarà il nostro angelo custode.
Che ci possiamo fare? Solo ricordare le parole di De Andrè: “Certo bisogna farne di strada… per diventare così coglioni/da non riuscire più a capire che non esistono poteri buoni…”

E molti di noi siamo già giunti a tale traguardo di imbecillità e stiamo infilando la testa nel sacco dei “poteri buoni” che ci faranno addormentare cantandoci la “ninna nanna” dei nuovi schiavi.
Non ho assolutamente nessun pregiudizio verso i magistrati e gli alti gradi delle “forze dell’ordine”, anzi ne conosco tantissimi che si farebbero mettere al muro per le loro idee di libertà e di democrazia. E tuttavia so che, con un tasso sicuramente più alto rispetto al resto della società, molti di costoro, per l’ambiente spesso segnato da deliri di onnipotenza in cui vivono, acquisiscono una naturale inclinazione a violare le regole (qualcuno a delinquere) pur di accrescere il loro potere.
La cronaca di questi giorni sulle nomine in posti chiave in alcune procure ci danno un quadro sconfortante… eppure non sappiamo neanche un quarto della messa. I custodi e i sacerdoti della “legge”, pur strapagati, trescano, imbrogliano, si vendicano, (e questo lo so bene) congiurano nel tentavo di avanzare nella catena di comando.
Ed è lecito pensare che in Calabria tali pratiche scellerate siano più diffuse che a “Roma”!
Questo pensiero dominante mi gira nella testa sin dalla mia prima gioventù, ma è ritornato prepotentemente a rodermi il cervello il giorno in cui s’è aperto il processo a Mimo Lucano. Anche perché intuisco una pericolosa e inquietante presenza di ombre che si muovono alle spalle.
Non ho pregiudiziali e non diffido dei giudici che processano l’ex sindaco di Riace; non ne avrei motivo alcuno, anche se al loro posto avrei consentito la diretta a Radio Radicale in modo tale che tutti i cittadini si potessero fare un’idea di quanto è successo a Riace in questi anni e di quali “crimini” s’è macchiato Mimmo Lucano assieme ai suoi “associati”.
La conoscenza è l’unico antidoto all’arbitrio dei forti e ai luoghi comuni dei molti.
E il giusto processo che invoco per Lucano e altri lo chiederei per tutti gli imputati e gli indagati di tutti i tribunali d’Italia senza eccezione alcuna. Per tutti i disgraziati che vengono stritolati nella macchina della giustizia.
In Calabria, terra di poteri estremamente forti rispetto alla stragrande maggioranza dei cittadini comuni estremamente deboli, è difficile che ci possa essere un giusto processo, così come in una società ammalata di gravi disuguaglianze, come la nostra, non ci può essere una “Legge uguale per tutti”.
Il mio dubbio non è solo teorico.
Scorrete l’elenco dei condannati e delle persone messe sotto processo negli ultimi trenta anni e scoprirete con immenso stupore (?) che la stragrande maggioranza è composta dagli “scarti” della società. Mancano i responsabili del grande crack della sanità calabrese; i gestori di una falsa sanità privata; i rei dell’immenso fallimento del sistema della depurazione o dello smaltimento dei rifiuti; i trafficanti sull’acqua pubblica che hanno operato fuori dalle norme e dalle leggi; i grandi intercettatori delle risorse comunitarie (sempre gli stessi); gli uomini che gestiscono una finanza malata. Coloro che hanno occupato e occupano stabilmente la pubblica amministrazione ad alti livelli. I politici che hanno drenato i soldi della Regione Calabria. Direi, ma questo lo sanno tutti, che neanche i grandi trafficanti di droga abbiano subito grandi “perdite” se è vero, com’è vero, che sono diventati più forti.
Dove sono stati i trojan in tutti questi anni? I criminali di alto bordo sono “sfuggiti” alla “giustizia” che, in compenso sembra essersi rifatta perseguitando cittadini innocenti.
Faccio solo un esempio: negli ultimi decenni per risanare l’azienda sanitaria di Reggio Calabria si sono avvicendati il fior fiore dei poteri che contano: generali, prefetti, questori, alti burocrati e via dicendo. Avevano a disposizione i più sofisticati marchingegni per capire le ragioni del crack. Non hanno capito proprio nulla, anzi non si sono “accorti” che per anni non sono stati presentati i bilanci, e neanche del fatto che circa settecento milioni di euro prendevano il volo mentre i trojan cinguettavano lontani.
Lotta per la Giustizia è innanzitutto lotta per cambiare la società! Per liberarla del feudalesimo che incatena alla marginalità i comuni cittadini consegnando tutto il potere ai nuovi feudatari che dispongono di poteri arbitrari e immensi. E questa non può essere lotta di fazione ma d’un popolo che, prima o poi, dovrà ritrovare la fiducia in se stesso e la forza per liberarsi.

Ilario Ammendolia