Dire auguri non basta.

Si sta per avvicinare il giorno più alto per la cristianità. Dopo la nascita di Gesù è da 2021 anni che si rinnova questo miracolo con la sua promessa di salvezza, racconta la medesima storia, ci invita a guardare dentro noi stessi per recuperare i valori autentici distratti e travolti dalla routine frenetica quotidiana. Aver fede è non perdere mai la speranza a cui attenta incessantemente l’amarezza per la realtà quotidiana.

Dire auguri non basta

se non si accompagna l’augurio con la coerenza, se non si rifugge dall’ipocrisia, se non si abbandona ogni atteggiamento surrettizio per guardare fino in fondo i problemi.

Usciamo da tre anni pessimi – ma usciremo veramente? – né pandemia, né guerre, né scandali legati a corruzioni, hanno ridotto la tendenza a piegare verso il più miope tornaconto anche le situazioni più tragiche. Menzogne per gettare scompiglio tra la popolazione; professare idee per poi rinnegarle affermando il contrario per accreditarsi con i potenti; preparare condizioni perché si scatenino conflitti sacrificando popoli per poi ergersi a salvatori della libertà e della democrazia.

E come se non bastasse, a fronte di tutto ciò sembra che i cervelli si siano congelati nel conformismo: non c’è pensiero critico ma adeguamento e rinuncia alla libertà di analisi: media docili, oserei dire coesi con chi scrive l’agenda dicendo che cosa si deve fare. E le poche eccezioni sembra che vengano tollerate o ignorate per fare sopravvivere la parvenza.

Duemila anni non ci hanno fatto uscire da queste situazioni, tuttavia non dobbiamo rinunciare alla speranza nella consapevolezza che la via verso il miglioramento verso la perfezione è semplicemente asintotica. E chi sa di matematica mi capisce.

Che fare? Cominciamo a comportarci meglio con chi abbiamo rapporti nel quotidiano, non dire una cosa e poi fare un’altra. E’ un primo passo: sincerità

Ma, dire auguri non basta.