Lettera dal Piemonte per venti anni di partecipazione e saluti finali.

di Domenico Principato

Carissimi bovesi, amici del terzo settore tutti, direttivi e “direttorii” dell’area grecofona intera, rappresentanti consiliari e sindaci di qualsiasi estrazione, professori, presidi, cattedratici, studenti, accademici, intellettuali e artisti nessuno escluso. La presente è a voi indirizzata e sono righe di commiato, il medesimo che scrive coglie pertanto occasione di addio e ne approfitta per esternare alcune considerazioni su quelli che sono stati gli anni che lo stesso ha vissuto nel terzo settore nella zona. Si vuole condividere con voi il percorso di chiusura e le considerazioni finali. Lo faccio spontaneamente, riunitomi e constatando che sono in numero legale con me stesso, all’unanimità delibero i conti con me stesso. Io, che oggi più maturo non ho giorni da buttare so, dopo aver visto i dolci posti calabri, i nuovi posti dove andare intellettualmente e spiccare nuovi salti, il diorama calabro meraviglioso ha suscitato in me, con i suoi posti immortali dove non c’è prima e non c’è un dopo, la volontà di scrivere prima della partenza e capire che c’è un tempo
che passa, che è passato, con tutti i sogni le rivoluzioni gli ardori, gli ideali di libertà.

Ho coltivato l’illusione che 20 anni di gioventù potessero servire a qualcosa, se non altro a cambiare il modus vivendi sociale, con la vana speranza di non dover dire che sia stato “il resto di niente” come si diceva a Napoli durante le rivoluzioni. Cooptato in giovinezza nella mia Fossato, nel mondo delle sociabilità umane, per volontà di qualche arguto “cattivo maestro” e sostenitore, ho iniziato nel 2003, quasi vent’anni fa, che oggi considero bastevoli. In questi venti anni, di cose ne ho viste e sentite, un pontopelago dove sì mi sono divertito, cresciuto, lottato e anche sofferto ( non uso il verbo fare, perché credo di aver fatto sempre poco rispetto a quello che la socialità calabrese necessitava, e non ne ho bisogno a dispetto di quanti mi giudicano poco umile, il dire “ho fatto” non mi contraddistingue né e mio atteggiamento). Partito con “i fossatesi nel mondo” sotto la maestosa guida di Pellicanò, ho attraversato la
Pro-pentidattilo (cui ho guardato e guardo ancora con occhi di stupore, sotto la guida e umanità di Peppe Toscano ) e Borghi solidali (ai tempi con la magnifica presenza di Petronio e Piero Polimeni), ARCI, ho vissuto il periodo delle
contestazioni del no-carbone, il waterfront di Saline Joniche, per vedere oggi il progetto Agapì naufragare immane. In questi anni non mi sono occupato di cultura, ne sono stato un “addetto”, quando entrare in una bibblioteca era sinonimo di stupore e conoscenza, Fossato ne ebbe addirittura una, ho riesumato autori dimenticati e vissuto e visto autori novelli. Il tempo sognato che bisognava sognare, finisce oggi, così tritato dalla macina quotidiana delle vicende umane e della vita, sotto il peso degli anni e della salute che ogni tanto zoppica.

Ho incontrato la vera ospitalità, il senso del bello, l’armonia del vivere e devo essere sincero nei nostri posti l ho vissuta in mezzo alla gente che ha avuto poco ed è contata niente, per questo motivo ho avuto l’idea malsana di riscrivere la storia vista da loro occupandomi dei rapporti storici del potere e delle società segrete, passando tra massonerie progressiste a logge occulte, infondo era il mio campo di studio, ne nacque così la controstoria del dovere storico di chi perde le battaglie. Guidato dal filo intellettuale anarchista, ho avuto modo di guardare con occhi fervido le
dinamiche dei rapporti sociali, ho fatto contro-scrittura delle verità assodate, e scalfito idealmente lapidi alla false memorie che fanno brodo nel mondo del turismo, poco importa se ho detto che Edward Lear era una spia ai danni del
governo inglese sotto la corona, che raccoglieva informazioni per preparare anni prima il progetto di unificazione italiana, sta a voi se vi guardate intorno scoprire se ne è valsa la pena oggi, oppure no, e fare di quel personaggio il viaggiatore esotico che vi è amico, oppure il primo nemico che storicamente si è seduto alla vostra mensa, o l’ospite cordiale. Io una idea me la sono fatta ma non sono un cattedratico quindi è giusto che questa idea lasci il tempo che trovi. Quindi vi lascio in eredità i vostri anni felici delle più audaci riflessioni, la volontà di crescere e capire ammesso
che lo vogliate. Poco importa se il tempi che ho dedicato spontaneamente alla causa, abbia cagionato in me sofferenza, amori perduti che non ho abbracciato più e qualche avversario. I momenti migliori sono stati sono stati le lapidi erette alla falsa memoria, con tanto di nastro, alla guida di sapienti accademici di chissà quale circolo che trovavano occasione per venire presso di noi e dire ci sono anche io, accreditandosi efori del vero, chè tanto loro erano loro e gli altri non erano nulla perché ai poco colti, puoi spacciare la polvere del carrubo per caffè tanto la bevono,
come popolo a pecora zoppa senza redenzione cui puoi far passare per fragola una mela. Ho visto l’umanità degli Sprar come operatore, dove veder convivere in mutuo soccorso musulmani e cristiani è stata esperienza bella, non mi interesso del cronicario accaduto dopo, per quello ci sono altri poteri dello stato e altre verità da lasciare al giudizio della storia. E poi ho incontrato la politica, la democràzia, la burocràzia, le frasi fatte, le clausolette, attraversando sindaci che non vedevano che la punta del proprio naso, consiglieri comunali la cui unica mission era la sagra, la
festa del santo patrono con tanto di borghesia in testa, a volte anche complici amici del volontariato che ci sguazzavano per imbadire tavole buona e ghiotta occasione per uomini di panza, le fasce tricolori in primo piano, le bande, e madonne portate nelle viuzze al suono della marcia di Radetzky, ove la fantasia di Federico Fellini veniva superata. Non parlo del territorio Bovese sia chiaro, anzi sono contento che vi siate risparmiati l’esperienza orrida di tutto questo. In questo guazzabuglio, l’idea del sottoscritto, novello sancho dietro un Don Chisciotte ormai passato a miglior vita, non era altro che quella di far uscire i paesi dal loro isolamento, questa è stata la battaglia, fatta, da solo, la barricata senza fuoco alcuno, animata dalla fiaccola della libertà sempre accompagnata da divagazioni e divulgazioni sulla cultura. Dis-isolarsi in modo che ognuno in qualunque borgo si sentisse parte del moto della storia e in essa avesse dignità, e al contempo la felicità dello stare assieme.

Siate mai stati nel borgo di Embrisi? Cosa ci fa una ragazza di vent’anni ad Embrisi dove vige la natura ma anche l’isolamento, non ha forse diritto di sentire Bach, di vedere Moliere? Di leggere? …se non può perché povera? Fatevi questa domanda e prendetevi di compunzione e colpa come il sottoscritto. La verittà è che abbiamo fatto tutto per non fare niente. Oggi, sono costretto mio malgrado e divelgere la mia barricata e lasciare la ragazza di Embrisi al suo vuoto incontaminato e naturale, all’esistere. Nella lunga lotta, ho impattato contro il potere politico di ogni estrazione ideologica, dove rappresentanti eletti a schiera hanno frenato ogni idea senza fare un saluto, come se non bastasse la resilienza sociale al progresso di plebi ammaestrate a star chiuse nel proprio guscio come cani nella cuccia, macchine del fango, manie di protagonismo e egoismi sfrenati per apparire a ogni costo. Ho respirato polemiche inutili, e visto piazze vuote su libri importanti perché boicottate appositamente, cavilli giuridici, tranelli assembleari di ogni tipo. Io per primo non ho mai avuto la nomina a una carica assembleare del terzo settore, perché forse giudicato poco avvezzo al dialogo, intemperante, il motivo non lo so e non mi va neanche di saperlo, nonostante questo ho continuato cocciuto e imperterrito prendendo botte finchè mi ha retto il fiato. Nel mio viaggio ho visto persino case editrici dare voce a “glutei” parlanti, con tanto di “parti pendule” a latere, recensire libri indegni di essere recensiti, romanzi che non erano tali, boia della cultura emergente, e qualche volta mi hanno dato persino il privilegio di sedermi in ultima
fila. Salvo poi scoprire che mandi una poesia delle tue e gli stessi addetti ti rispondono che non piace perché non è un genere gradito, tanto se non presenti il curriculum previo possono dirtelo in maniera posticcia. Mai fatta una prefazione, solo post-fazioni e tante grazie!! Persino editing assunti per gridare “accattatevillo” come il parmacotto della Loren. Insomma chi più ha più ne metta, e credo che vi renderete conto da soli se sono anni che non ci sono nel panorama italiano scrittori calabresi qualche motivo ci deve essere! Forse è anche colpa del terzo settore e dei
boicottaggi. Ho creduto talmente tanto nel sogno che ho ceduto alle lusinghe della democrazia, vissuta come lotta di contropotere e non di arrivo, al grido di muoia sansone con tutti i filistei. Per poter scoprire infine che contro me c’era una lega santa che spaziava da destra a sinistra, con mercenari pescati nel mondo del sociale e dell’associazioni, tutti pur di uccidere Gracco, poco importa se il rischio è quello di Silla! Mi trovo bene nel posto di Catilina e non me ne frega niente di Cicerone aulico.

Non pago di questo trovando come Enea ospitalità su Bova Marina ho proseguito
come ho potuto e saputo fare, con le forze che ancora mi rimanevano. Quando la
guerra umana e sociale contro tutte le piaghe ebbe fine, mi sono regalato come
Napoleone e molti altri un gradito esilio come premio finale, senza saluti e senza
grazie, salvo amici. E da questo posto dopo 20 anni di lotta senza successo alcuno, ci
si accorge che il tempo è volato, ci si accorge di essere vecchi per le barricate, ci si
avvede che tutto è perduto salvo la dignità che è il bene più prezioso, e che tutto ciò
che resta da fare è osservare le ceneri di Pasolini, e di Bakunin, e di Pasquino e
ritirarsi a vita privata. Con l’intento privato di saggiare il tempo che è rimasto nella
clessidra e tentare di sorridere ancora. Per questo sono necessarie delle precisazioni
su quello che è stato, non ho mai voluto insegnare niente a nessuno, a volte me lo si
è rimproverato, non era quello l’intento se c’è stata quella parvenza chiedo scusa. Il
fatto è che dietro me non ci sono più i cattivi maestri di un giorno, sono rimasti
solamente quelli buoni e bonari, pacati, con cui non ho buoni rapporti da quando
sono nato poiché non sognano e non vedono oltre. Penso che come avete potuto
notare da qualche tempo a questa parte, non solo sono materialmente assente dal
circuito per ovvi motivi, non modero più avendo ceduto il posto ai giovani che
devono imparare (ammesso che non si disgustino prima per colpa nostra), né
interloquisco con gli autori privilegio che non mi è stato mai concesso, forse perché
non giudicato all’altezza del ruolo, molto probabilmente dovevo esibire il
chilometraggio curriculare che è sdrucito infondo tanto è che non lo aggiorno, ero
impegnato a disfare il mondo coi versi e con la lettura. Non l’ho mai chiesto, non mi
è stato mai proposto e di questo gli autori ne hanno tratto giovamento almeno si
sono risparmiati qualche gaffe e imbarazzo. Non partecipo alle serate di Misefari,
non ho modo materiale di interagire, e come lui soffro la pecorilità delle plebi, non
parliamo del fatto che mancano le Pie Zanolli. L’ultimo regalo che ho potuto fare al
sociale è stata l’idea dei Fantastici lettori, che non posso più seguire, ci penserà
egregiamente mia moglie e già lo fa in maniera egregia, mi affaccerò ogni tanto
senza dare giudizi sempre se altre cose non funesteranno la mia vità già funestata
dalla solitudine dell’emigrazione e dall’isolamento culturale, proprio quello che ho
combattuto e che oggi bussa alla porta ormai da mesi. Sotto questo profilo altro non
mi rimane intellettualmente che “il resto di niente”, capire che 20 anni di lotte e
sacrifici sono stati un vaneggio, una elucubrazione mentale che già sul nascere io
dovevo considerare avviata a un presto tramonto, come ogni cosa della vita.
Continuerò tuttavia a scrivere e a spendermi qui, per questo posto che mi ospita
come cittadino del mondo, e pubblicherò se potrò qui, dove certe dinamiche
intellettuali e associative sono più leggere e più pragmatiche, meno impattanti, non
parlo delle mie opere, ma anche di quelle altrui che saranno senz’altro molto più

belle, più interessanti, più colte ed erudite delle mie. Pertanto questo articolo è un
commiato che si estende a tutte le associazioni in cui sono parte attiva e non, ed
equivale a un ritiro, alla stasi formale, del riposo del guerriero di cui sento il
prepotente bisogno per chiarezza di altre e più profonde cose. Ho da combattere
altre necessità, altre vessazioni, altre problemtatiche personali e il contesto nord-
sud non mi permette di starvi vicino, vale oggi, come sempre il vecchio detto che
tutti sono importanti e nessuno indispensabile come il sottoscritto. Mi assento
pertanto per un bel po’ di tempo che non so quantificare, da quel mondo che si
chiama cultura, ammesso che io l’abbia saputa sostenere. In questi lunghi anni non
ho da rimproverare niente a nessuno se non a me stesso, magari qualche opera non
ha visto la luce, e forse non la vedrà mai, magari non sono stato funzionale a un
dibattito e a un impegno proficuo. Agli altri che restano posso solo fare il gradito
augurio di un lavoro sereno, meno violento del mio, più proficuo, più saggio e
soprattutto meno polemico e meno astioso. Sono sicuro che sotto questo profilo
anche senza di me non ci saranno che cose buone e ottime. Dopo venti anni ci si
stanca presto e a volte non si capisce bene se uno ha bisogno di tregua e di
tranquillità, fosse anche personale e domestica, forse persino intima e emotiva. So
solo che non era questo il mondo che sognavo di cambiare, nato da quell’insulto
borghese ricevuto a vent’anni che persino i nipoti dei banditori di paese vanno
all’università, e che mi aveva fatto affondare le mani con vigore nella cultura e nel
sapere. A oggi che di insulti non ne ricevo, ma solo pernacchie, non si consente più
di ridere di Pulcinella, e vale per tutti, nessuno escluso.
Saluti libertari dal nipote del banditore che vi scrive, e dall’immaginifico “Trunfio” il
quale “ non andette mai alla lementare della pubrica struzione che tutti ntelligenti
non meri nti un paisi, che li storti servono, eccome! Che se si rivotasse la penurìa di
scecchi come la portiamo la bisazza di olive?! Se non con noi altri nimali a due pedi
senza barda e sulle spalle?! Ci voli metodo pure nella stortiìa..affatto manera!”
Ps: so che non avrete a male di queste righe, nel caso l’aveste sicuramente avrete
validi persone tra quelli che stimate, mentre io ho bevuto ciò che rimane fino a ieri
voi potrete bere ciò che mi resta. Io e il terzo settore ci lasciamo così, infondo ci
siamo persi dimenati, torturati maltratti, scritte lettere, ma sempre per amore…solo
per amore.
Un abbraccio ancora