“Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte.”                                                                                                     

Un verso dei più celebri della Divina Commedia di Dante Alighieri, ma anche di tutta la letteratura italiana. Al V canto dell’Inferno vi sono i due cognati allo stesso tempo, protagonisti e vittime di un amore adulterino che si conclude con un tragico epilogo: Paolo e Francesca. Guido da Polenta, padre di Francesca e signore di Ravenna, promise in sposa la figlia a Giancotto Malatesta da Rimini, per unire il potere tra signorie. Il matrimonio si celebrò ai 14 anni della fanciulla, innamorata però di Paolo, il giovane fratello dello sposo e i due cognati divennero amanti. Il loro amore riporta ad un nefasto epilogo: Malatesta scoprendo questo amore clandestino, con la propria spada trafisse i loro petti, cogliendoli di sorpresa mentre leggevano dell’amore di Ginevra e Lancillotto. Ogni notte Francesca veniva violentata da Malatesta, era suo dovere coniugale sottostare alle voglie del marito che controllava persino le sue letture perché il ruolo di una donna era vincolato dall’essere moglie, madre e amante.

L’attualità della Divina Commedia dopo 700 anni riporta ai temi quotidiani ormai della nostra epoca moderna: il femminicidio e l’uxoricidio che, dal latino uxor, “moglie”, significa “omicidio della propria moglie”. Dante riporta ad una profonda riflessione, giocando sull’ossimoro in quanto amore significherebbe nella sua etimologia a-mors assenza di morte: <<Amor condusse noi ad una morte>>, l’amore non uccide!

Quale amore condusse a questa tragica fine? Non fu certo l’Amore di Paolo ad uccidere Francesca, ma la forza impositrice del padre nel privare la figlia alla libera scelta di chi amare; il NON Amore di Giancotto, l’odio, la forza dominante nel possedere in ogni modo il cuore di sua moglie. L’ombra di Francesca si sente ancora urlare No! in quel vortice di peccato extraconiugale dove è stata confinata per l’eternità. Quale peccato poi? Quello di aver amato il cuore di un uomo buono, sfuggendo alle molestie e alla forza di un bruto.

Ed ecco come in ogni epoca, in ogni cultura, il potere dell’uomo si impone contro ogni diritto di libertà e dell’essere DONNA. Una chiave di lettura diversa del V canto dell’Inferno, che apre la possibilità di una cultura sociale più vicina alle donne e alla tutela dei loro diritti. Un insegnamento di come la Letteratura non sia solo pagine infinite di libri scritte da uomini del loro tempo, ma la grandezza dei classici sta nel significato della parola stessa, intramontabile in quanto sempre attuale.