Riproposizione della Rubrica Europa Ellenofona di Filippo Violi deliapolis 2016 (copyright)

Non credo vi sia stato scrittore di cose grecaniche, ormai, che non si sia, più o meno diffusamente, soffermato sull’origine del bovese. Né possiamo farne a meno noi nel pubblicare questo trattato di autori grecanici e di studiosi della lingua grecanica. E’ anche un tentativo di voler riassumere in compendio gli studi e la disputa che si è accesa, da qualche secolo, sulla lingua, e che ha caratterizzato in maniera specifica gli studi sugli ellenofoni di Calabria e di Puglia. Una componente comune appare evidente nelle opinioni di tutti i glottologi che si sono interessati ai dialetti greci dell’Italia meridionale, e consiste nel fatto che tutti concordano nel definirli greci. Il tessuto unificante si spezza poi nel momento in cui le riflessioni si fanno voce indagando sull’origine di questa lingua. E’ a questo punto che la lingua greca di Calabria viene rivisitata allocando la sua origine in epoche diverse. Diverse sono le soluzioni e le dimostrazioni, tanti i pregi e i difetti che derivano da questa disputa, non ultimo quello di aver dimenticato che, a parte la lingua, v’erano pure in Calabria ancora persone che parlavano greco e che vivevano in condizioni terzomondiste. Due sono le principali interpretazioni glottologiche, tanti i sostenitori dell’una e dell’altra tesi: la teoria che vuole l’origine della lingua grecanica datata fin dagli antichi dialetti dorici della Magna Grecia, e quella che vede in questa lingua gli ultimi relitti di immigrazioni bizantine.1. MEGALOELLENICI O BIZANTINI?

Pregi e difetti, o limiti del problema, dicevamo. Pregi sociali e culturali perché il problema, comunque posto, ha consentito nei tempi di affrontare in chiave di rinascita la storia di una Calabria greca – compresa in quella romanza e nazionale, naturalmente più vasta – impoverita nelle sue strutture dalla disperazione, dalla perdita d’identità, dal sottosviluppo e dall’emigrazione. Limiti invece di soluzione del problema linguistico che derivano dal fatto che questi dialetti si sono conservati in un ambiente alloglotto e non hanno percepito i mutamenti e l’evoluzione della lingua greca da cui derivano: “Il fatto che questi dialetti sono molto lontani dalla Grecia, si sono conservati in un ambiente alloglotto di cui hanno subito l’influenza, e da molti secoli non hanno avuto nessun contatto diretto e continuo con l’evoluzione della lingua greca, delinea i limiti del problema e contiene gli elementi che hanno contribuito a dare agli stessi dialetti la loro speciale fisionomia. E’ quindi necessaria la conoscenza della storia dei dialetti dorici della Sicilia e dell’Italia Meridionale fino al X secolo, l’influenza della Koinè, come pure l’evoluzione dei dialetti nella Grecia stessa e l’influenza su di essi della Koine’. (…) Se si tiene però conto della nostra conoscenza frammentaria dei dialetti greci di Grecia, nell’Asia Minore e altrove dal I° al X° secolo d.C., si riconoscerà che questo compito è molto difficile1 “. Il primo ad avanzare una vera e propria teoria sulle origini del greco di Calabria e del Salento fu senza dubbio il Morosi2. Egli pose l’origine dell’attuale parlata greco-calabra tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo. Di diverso avviso -in gran mole documentaria di lavoro – fu Gerhard Rohlfs, per il quale la grecità calabrese non poteva assolutamente essere di origine bizantina, ma era da ricollegarsi , senza soluzione di continuità, alle tradizioni linguistiche della Magna Grecia. Il dialetto greco di Calabria venne proposto nel 1821, in età moderna, da Karl Witte che pubblicò in Germania alcuni canti tra i quali il più conosciuto era sicuramente ” Iglio “. In realtà già nel 1802 ne aveva parlato John Chetwood Eustace3. E, ancora prima del Witte, un dotto canonico di Bova, Pietro Marzano, indirizzava al governatore della provincia reggina nel 1813 uno studio storico e lessicale della nostra lingua4. Ma fu F. Pott che cominciò ad interessarsi più diffusamente della lingua e, da grande studioso qual era, si pose l’interrogativo della sua origine. I suoi studi comunque non potevano essere assolutamente esaustivi dal momento che egli operava su un limitatissimo materiale linguistico per cui il suo giudizio fu per niente esauriente e di poco interesse. Non passò molto tempo che il Comparetti, avendo a disposizione una più vasta mole di documenti, dopo uno studio sugli stessi, concluse che quella lingua parlata nella Bovesia apparteneva al greco moderno. La prova su cui si basava la tesi del Comparetti era la presenza presso i Greci di Calabria del canto della “Romeopulla “, un canto contro i Turchi che avrebbe dovuto provare la presenza di recenti immigrazioni greche in Calabria. In realtà, e ciò è stato ormai lungamente provato anche dal Bertone Mesiano5, dallo stesso Giovanni Andrea Crupi6, e da altri autori, tra cui l’autore di queste righe, che il canto era completamente estraneo alla tradizione linguistica dei grecanici tant’è che pochissime parole di quel canto vengono adoperate nella lingua attuale. Di diverso avviso erano stati però Pietro Larizza7, Pietro Catanea8, Antonio Catanea Alati9. La stessa tesi sostenne il Pellegrini10 che pubblicò pure una sua teoria sulla miseria dei canti grecanici e sulla mancanza di canti che esprimessero la presenza di una coscienza civile da parte degli stessi ( tesi quest’ultima fortemente osteggiata da Luigi Borrello11, ed ultimamente da me stesso, con argomentazioni diverse12). Molti degli studiosi fin qui menzionati davano dunque per scontata l’origine moderna dei dialetti greci dell’Italia meridionale senza però condurre studi approfonditi sulla storia, sulle tradizioni e sull’origine etnica di queste popolazioni, tornate alla ribalta dopo secoli di silenzio. Fu lo Zambelios che nel 1865 portò nuova linfa agli studi sui greci di Calabria. Egli infatti documentò che in epoca medievale, tra il X^ e l’XIV^ secolo c’erano state delle emigrazioni dalla Grecia verso la Calabria meridionale e si sarebbe così ravvivato l’uso del greco esistente con l’arrivo di nuove popolazioni ellenofone. In epoca recente però il greco Karatzas ha dimostrato che quelle migrazioni non riguardavano l’area grecanica in particolare e che probabilmente i documenti che le attestavano non avevano alcuna attendibilità storica.2. LA TEORIA DI GIUSEPPE MOROSI

Nel 1870 lo studioso pugliese, Giuseppe Morosi13, fece delle importanti considerazioni sull’origine del greco di Puglia che ritenne, per estensione, valide anche per il greco di Calabria. I suoi studi furono veramente importanti perché egli fu il primo a rivolgere a questa lingua una particolare attenzione filologica e storica, comparando il greco di Calabria al greco di Grecia ed ai suoi dialetti. Morosi esaminò attentamente la toponomastica e l’onomastica, studiò le pergamene italo-greche e giunse alla conclusione che il grecanico era fondamentalmente greco moderno. L’analisi che fece il Morosi fu un modello di indagine linguistica. Escluse a priori la persistenza dell’antico dorismo nella nostra lingua dopo la conquista di queste terra da parte dei romani, pur ammettendo che nel greco bovese vi fossero dei fatti linguistici che sembravano dettare una diversa e più antica datazione rispetto ai dialetti greci del Salento. Ancora oggi il Morosi viene considerato dagli studiosi uno dei “titolari” delle due teorie sulla grecità calabrese. Le ricerche del Morosi rimasero a lungo insuperate fino al momento in cui cominciò le sue indagini linguistiche G. Rohlfs. La sua opera diede comunque un contributo decisivo per lo studio della grecità anche perchè egli è stato il primo glottologo a raccogliere personalmente il proprio materiale linguistico, pur senza essere riuscito a percepire – per la rapida successione dei tempi – la vastità dell’ellenismo calabro che non era certamente solo quello che appariva.3.

GERHARD ROHLFS E LA TEORIA MEGALOELLENICA

Alla teoria romaica o morosiana si oppose un’altra non meno importante per scientificità, quella megaloellenica o arcaica, espressa in tempi relativamente più recenti dal tedesco G. Rohlfs nel 192414 e, prima ancora, dall’altro tedesco, il Niebhur. In questa data infatti il Rohlfs pubblicò un articolo in cui l’origine moderna della lingua grecanica veniva decisamente negata. L’importanza della teoria rohlfsiana risiede soprattutto nell’analisi lessicale e morfologica della lingua. Relativamente a questa analisi il Rohlfs afferma che il grecanico era l’erede diretto del dorico parlato nella Magna Grecia ( il greco antico si divide sommariamente in tre dialetti: ionico-attico, eolico e dorico, quest’ultimo soprattutto in Sicilia e Calabria). Il dorico aveva un carattere fortemente conservativo e questo, in parte, potrebbe spiegare la tesi della sua conservazione in Calabria sostenuta dal Rohlfs. A dimostrazione di ciò lo studioso pubblicò una serie di dorismi (in realtà pochi15) che avrebbero dovuto dare maggiore sostegno alla sua tesi. Il Rohlfs non tralasciò comunque nemmeno l’indagine storica, egli infatti sostenne che le colonie greco-calabre derivavano dalla colonizzazione megaloellenica e che l’occupazione romana, durata circa ottocento anni, non era riuscita a latinizzare completamente la Calabria meridionale; ciò sarebbe avvenuto perchè il prestigio della lingua greca, lingua della cultura e del commercio, era tale che essa si imponeva in ogni situazione di bilinguismo. Le iscrizioni dell’età ellenistica in latino, sebbene presenti a Reggio in numero maggiore rispetto a quelle greche, non provano per Rohlfs la completa latinizzazione del territorio. Il latino infatti, in quanto lingua ufficiale imposta dall’amministrazione era lontano dall’espressione spontanea dei parlanti, mentre le iscrizioni greche, tutte private, attestavano che il greco aveva carattere familiare ed era usato presso i ceti popolari e le popolazioni delle campagne. Nell’entroterra -dice Rohlfs- dove i Greci erano stati respinti dall’occupazione romana, lontani dai centri di collegamento e di scambio, e quindi dall’influenza latina, la lingua si sarebbe conservata ed avrebbe riacquistato vigore nei primi secoli della nostra era grazie al Cristianesimo – di cui essa diveniva strumento di espansione – e, più tardi, durante la dominazione bizantina.4.

SOSTENITORI DELL’UNA E DELL’ALTRA TESI

Ambedue le teorie hanno sviluppato aspetti molto importanti per la storia della lingua grecanica. L’esperienza che ne deriva da queste indagini è che il problema della lingua non ha ancora avuto una risposta generalmente ammissibile, perché ognuna delle parti riconosce soltanto i propri argomenti come validi. Alle tesi del Morosi legarono la loro indagine comunque Giovanni Alessio16 e Carlo Battisti17 i quali sostennero che la presenza dei dorismi nella grecità calabrese, e che essi definirono “presunti”, fossero entrati nella lingua dei coloni bizantini del IX secolo tramite il latino volgare che, a sua volta, li aveva presi in prestito dalla lingua dei coloni magnogreci. Di diverso spessore culturale ma sulla scia delle teorie morosiane, furono gli scritti di Oronzo Parlangeli18 e del suo allievo infine, Giuseppe Falcone19. Di diverso avviso naturalmente i sostenitori delle tesi rohlfisiane come Agapitos Tsopanakis20, convinto assertore del fatto che i dialetti greco-calabri, nella loro specificità totale – quella arcaica – rappresentano elementi di una zona dorica nella Koinè prebizantina. Vicino alle tesi dello Tsopanakis ritroviamo il Karatzas21 ed il Kapsomenos22.

Alle tesi dell’Alessio e del Parlangeli si oppone decisamente il Karanastasis23 il quale afferma che secondo la regola linguistica i dorismi ancora oggi presenti nei dialetti grecanici, se fossero entrati nella lingua dei coloni bizantini del IX^ secolo per il tramite del latino volgare, oggi avrebbero dovuto avere la stessa forma che hanno gli stessi vocaboli presenti tuttora nei dialetti locali italiani, i quali sono la continuazione del latino volgare. Il Karanastasis pubblica inoltre, a sostegno delle tesi del Rohlfs, una serie di nuovi dorismi. Vicino alle tesi del Rohlfs anche l’opera di Franco Mosino, Giovanni Andrea Crupi, Filippo Violi, i più rappresentativi studiosi calabresi di fatti storici e linguistici regionali, e Nikolaos Andriotis il quale sostiene che tutti i dialetti neogreci possiedono, in maniera varia ma sempre elevata, parole antico, tardo e medio greche sconosciute alla koinè neogreca24. Nel libro l’Andriotis pubblica una serie di materiali linguistici antichi sopravvissuti nei vari dialetti neogreci, compreso il grecanico della Calabria, che consentono di portare ulteriori conferme alla tesi rohlfisiana perchè nel Lessico dell’Andriotis si ritrovano parole arcaiche presenti solo nel dialetto bovese. Ma per non inoltrarci in problemi ai quali non siamo preparati, vale la pena rimandare i lettori alla bibliografia pubblicata sulle varie teorie e di cui si presenta un buon elenco in appendice e nel corso del libro. Altri sostenitori vi sono stati naturalmente dell’una e dell’altra tesi, ma questa breve rassegna non intende essere esaustiva. Mi corre l’obbligo comunque di parlare della tesi sostenuta dallo storico bovese Pietro Larizza, la cui documentazione pubblichiamo nel capitolo a lui dedicato. Il Larizza sostiene, attraverso alcuni documenti storici, come l’origine della grecità bovese sia attribuibile ad epoche più recenti e cioè intorno alla prima metà del 1500: << Ci siamo studiati a dimostrare tale assunto nella Seconda appendice del nostro volume la “Magna Grecia” contro le svariate opinioni di chi crede che la parlata greca del Mandamento di Bova e di Calimera, Martano, Zollino, Soleto, Castrignano ecc. del salentino sia una ininterrotta nobile eredità della Magna Grecia (teoria tedesca Niebhur, Rohlfs), da alcune voci arcaiche, superstiti nella parlata, dei remoti tempi; o una importazione bizantina anteriore al X secolo, specie ad opera dei frati basiliani, dei quali ogni convento sarebbe stato il nucleo di un paese e il richiamo di un’intera colonia (teoria italiana, Morosi, Pellegrini, Battisti, Alessio, Putortì e un colto indigeno Pasquale Natoli). Non ripeteremo le argomentazioni da noi esposte; aggiungiamo ora e trascriviamo alcuni documenti ufficiali del tempo, cioè della prima metà del ‘500, che taglieranno. come suol dirsi, la testa al toro (…)25>>. Mi pare comunque opportuno concludere questa breve analisi con le parole di Agapitos Tsopanakis, al di là delle tesi dallo stesso sostenute, che ritiene come la non latinizzazione della Magna Grecia “non sia un fatto molto differente della non latinizzazione della Grecia stessa. E questo fatto che sembra così strano – perchè unico – se, si confronta con la latinizzazione totale delle regioni europee dell’Occidente e dell’Oriente (Dacia), non è dovuto ad una speciale “qualità” della lingua greca, ma solamente – mio parere- all’esistenza di una lingua “scritta” e di una lunga tradizione politico- economica-culturale espresse in questa lingua, cosa che non accadeva a nessuno degli altri popoli latinizzati. Questa forza ha impedito la penetrazione della lingua latina nell’Occidente greco e ha trasformato il carattere latino e romanzo dell’Impero d’Oriente, al di là di ogni preordinata volontà26”. .

5. TEORIA DELLA “PERSISTENZA CONTEMPORANEA”.

Tra tutte le possibili teorizzazioni intendiamo formularne una, mai presa in considerazione, che, più che all’indagine filologica, fa riferimento ai fatti storici. Si è discusso tanto sulla lingua grecanica ma poco o niente sulla validità delle tradizioni dei Greci di Calabria. La cosa non deve meravigliare dal momento che l’interesse dei filologi si è rivolto necessariamente nel corso dei secoli sull’origine e la provenienza di questa lingua. Ma veniamo ad alcune tradizioni dei Greci di Calabria. Già nel 660 a.Cr. Zaleuco nella sua legislazione faceva divieto di ” piangere i morti, anzi banchettare, dopo aver dato sepoltura ai cadaveri “. Parimenti è conosciuta l’importanza che i bizantini davano alla religiosità, considerata ad un parto anche movimento politico. E’ dunque possibile che la religiosità bizantina non abbia per nulla influito sui Greci di Calabria se San Luca di Bova – e siamo intorno al 1100 – doveva affannarsi a far sì che gli abitanti della Bovesìa rinunciassero a quelle antiche usanze che egli definisce pagane e costume dei Greci? Era dunque latino San Luca? Se lo era, altro erano i Greci della Bovesìa. Se non lo era, bisogna convenire che, nonostante la cristianizzazione, i grecanici si sentivano lontani dalla tradizione bizantina27 al punto di costringere il Santo vescovo di Bova a ” lottare contro i costumi dei Greci e dei figli di Agar “. Al punto di dover combattere ” i blasfemi lamenti sui morti, il gemere e far lamento irragionevolmente per le strade (…) l’incoronare di lauro i protiri delle case. L’inghirlandarsi cinti di spada e vanti alle porte di casa, così come usavano i pagani (…) il macinare il grano e fare il pane al suono delle raganelle e quella specie di preghiera recitata tenendo la grande ciambella…28″ .La conclusione a questo punto lascia una serie di interrogativi che potrebbero essere facilmente risolti.a) Come mai i Greci di Calabria, dopo sei secoli di dominazione bizantina, sentivano e sentono estranee alle loro tradizioni e al loro linguaggio la lingua dei Bioi e i canti come quello della Romeopùlla, importato in Calabria dalla Grecia dopo la dominazione turca?b) E’ possibile che la lingua bizantina si sia imposta su un popolo – come molti sostengono – già latinizzato? E cioè, che sia riuscito a loro, popolo imbelle e vessatorio, quello che non era riuscito di fare ai Romani?c)

Per quale motivo persistevano ancora (nonostante le imposizioni di Zaleuco, le prese di posizioni del vescovo Luca ed altri) le tradizioni pagane dell’antica Magna Grecia?d) E’ assurdo pensare che la cultura bizantina sia passata, almeno in questi luoghi, lasciando intatta l’antica lingua e le vecchie tradizioni, ed abbia inciso soltanto sull’ordinamento giuridico, in qualche settore dell’onomastica, della toponomastica e nelle tradizioni religiose?e) Non è più probabile che una fosse la lingua dei dominatori bizantini e altra quella del popolo, insieme a costumi e usanze in cui- come ci suggerisce San Luca29- si praticavano usanze antiche e si recitavano formule in greco?___________________________________________ 

1 A. Tsopanakis, I dialetti greci dell’Italia meridionale rispetto a quelli neogreci, estratto da: L’Italia Dialettale, vol.XXXI, Pisa, 1968, pp.1-2

2 G.Morosi, I dialetti romaici del Mandamento di Bova in Calabria, Archivio Glottologico Italiano, IV, 1878, pp.1-116

3 J.C.Eustace, Classical tour through Italy, executed in the year 1802, exhibiting a view of its scenery, its antiquities and monuments, London, 181

4, vol.III, p.1294 Vedi Pietro Marzano

5 D. Bertone-Mesiano, I popoli preistorici dell’Italia, Reggio Calabria, 1993, nuova edizione con premessa alla ristampa di F.Violi.

6 G.A. Crupi, La glossa di Bova, Bova Marina, 1974, a cura del XXXI Distretto Scolastico della Calabria

7 P. Larizza,La Magna Grecia, Roma, 1929; idem,Crotone nella Magna Grecia, Reggio C.,1934

8 P. Catanea, Linguaggio greco di Bova, edizione <>, Reggio Calabria, 1924; idem, Bova, Reggio Calabria, Tip. Morello, 1920.

9 A. Catanea Alati, Le origini di Bova e del suo nome, Grottaferrata, 1969; idem, In terra di Bova, Reggio C.,1927

10 A. Pellegrini, La poesia di Bova, in M.Mandalari, Canti del popolo reggino, Forni, Napoli, 1881, pp.353-381.1

1 L. Borrello, I Greci della provincia di Reggio ,RSC, 1893, vol.I pp.320-334

12 F.Violi, Anastasi: canti politici e sociali dei Greci di Calabria, C.S.E, Bova Marina, 1992.

13 G. Morosi, Dialetti romaici del mandamento di Bova in Calabria, Arch. Glott.Ital., IV, Loescher, Roma-Torino-Firenze,1878, pp.1-116

14 Le teorie di G. Rohlfs sono espresse in vari articoli e volumi. Ne citiamo solo alcuni tra i più importanti. Per un elenco più completo si confronti la Bibliografia alla fine di questo volume: Scavi linguistici nella Magna Grecia, Halle-Roma, 1933; Nuovi scavi linguistici nell’antica Magna Grecia, Palermo, 1972; Le origini della grecità in Calabria, A.S.C.L., a. II, 1933, ecc.

15 Esiste oggi uno studio più completo sui dorismi greco-calabri, da me recentemente avviato a conclusione dopo lo studio del Karanastasis, Kapsomenos e dell’Andriotisù

,16 G.Alessio, Calchi linguistici greco-latini nell’antico territorio della Magna Grecia, VIII Congr.di studi Bizantini, vol.VII pp.237-299; Nuovo contributo al problema della grecità dell’Italia Meridonale, R.I.L.S.L., vv.,LXXII, LXXIV, LXXVII, LXXIX; Breve indagine sulla grecità dell’Italia Meridionale, R.I.E.L.,LXXVII, 1944, fasc.I-II.

17 C.Battisti, Nuove osservazioni sulla grecità in provincia di Reggio Calabria, Italia Dialettale a.VI; Ancora sulla grecità di Calabria, ASCL, 1933; Sostrati e parastrati nell’Italia preistorica, Firenze, 1959

18 O.Parlangeli,Storia linguistica e storia politica nell’Italia meridionale, Firenze, 1960.

19 G.Falcone, Il dialetto Romaico della Bovesia, Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano, 1973.

20 A.Tsopanakis, I dialetti greci dell’Italia Meridionale..,cit.

21 C.Caratzas,L’origine dei dialetti neogreci dell’Italia meridionale, Parigi, 1958.

22 S.G.Kapsomenos, Byzant, Zeitschrift 46, 1953

23 A.Karanastasis, Alcuni nuovi dorismi nei dialetti greci dell’Italia meridionale, in “ Rivista Storica Calabrese”, 1982, vv.1-2.

24 N. Andriotis, Lexicon der Archaismen in Neugriechischen Dialekten, Wien, 1974.

25 P.Larizza, Crotone nella Magna Grecia, cit. p.34

26 A.Tsopanakis, cit., p.3.

27 Per le formule recitate in greco durante l’attuazione di qualche “rito pagano” vedi F.Violi, Le radici della nostra cultura, C.S.E. Bova M., Reggio C., 1991; idem, Anastasi: canti politici e sociali dei Greci di Calabria, C.S.E., Bova Marina, 1990

28 Le citazioni di San Luca sono tratte da Esortazione in forma di testamento. Le tre lettere del testamento di Luca sono contenute nel Paris.suppl.Graec. 407 (ff.158-176), pubblicate a cura di P.Joannou a Monaco di Baviera col titolo La personalità storica di Luca di Bova attraverso i suoi scritti inediti, in ASCL, XXIX(1960),pp.179-237

.29 Luca di Bova, Omelia V


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