Mi fermo ad “ascoltare” l’opere d’arte della pittrice Carmela Mafrica, pensando ad un errore o all’invadenza di un senso inadatto.
Invece, si dilata la percezione di questo mondo materico, che sembra quasi sollevarsi per prestarsi ad ogni senso di conoscenza.
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La sua pittura è caleidoscopio, ma anche stereofonia e poi tatto. Ella posa i colori, che irruenti rompono gli argini, esondano dal suo pathos e dalla tela, e ci catturano.
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Si “vedono” i fiori irrompere, sbocciare carnosi e impudichi, anche fuori stagione, ché non vi è un solo tempo per la speranza; si “sente” il suono di un taglio d’oro e altri in superficie e profondi, come se l’artista forgiasse la pietra grezza per divenire diamante, e offrirla in un generoso banchetto di Bellezza o forse è solo il canto poetico, che sale dal blu cobalto del suo Ionio.
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Addensa strati su cui si possono “toccare” le ferite dell’esistenza ma anche, con mano lieve, le forme del Sogno. Dipinge i significati, li immagina, li compie sulla tela. Scrive di sé e del mondo, in una ricerca di somiglianza tra l’una e l’altro per pacificare la sua anima bella. È folgorazione la sua arte. È dominio di pochi, graziati e baciati dal privilegio di saper dire senza parole. E la nostra pittrice sa dire con l’eloquenza di colori smaglianti, corposi e densi, di creature viventi, di volti pensierosi e sognanti.
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C’è anche silenzio sulla tela, quando sceglie i toni, li osserva, li raduna, ad uno ad uno e, sicura della loro purezza e verità, li offre alla vita, in un magico realismo.
Pittrice gestuale e donna libera!