Siam venuti per cantare

le novene di Natale

e cantiamo con allegria

nasce il figlio di Maria!

Erano iniziate così le ninnarelle. I ragazzi, annunziati da un allegro scampanellio, la sera passavano casa per casa e cantavano le vecchie nenie natalizie, tramandate di generazione in generazione. E questo gaio, festoso appuntamento serale scandiva il lento ed atteso avvicinarsi del Natale.

Bambinello dove andate

co’ ‘ste braccia ricamate?

Ed io vado all’Abbatia

sono il figlio di Maria!

Comare Angelina, seduta dietro la finestra, col rosario in mano, recitava Padrenostri ed intanto guardava la strada che veniva su dalle marine per veder spuntare, da un momento all’altro, il figlio carabiniere che per Natale sarebbe venuto in congedo.

A nu pedi di nuciddha

nc’è na naca picciriddha,

San Giuseppi e San Giacchinu

chi nnacavanu lu Bambinu.[1]

Il figlio di comare Mica, invece, non sarebbe venuto per Natale e… nemmeno per Pasqua: era in carcere, sull’isola. E la povera vecchia gli stava preparando un pacco con ogni ben di Dio ché Natale era festa anche per lui! Per lei non aveva tenuto niente ché senza il figlio quei dolci non le andavano da nessuna parte. Ma, se Dio voleva, quello era l’ultimo Natale che faceva da sola. A ottobre dell’anno nuovo quello sventurato sarebbe uscito e il Bambinello le avrebbe fatto la grazia di fargli mettere la testa a posto.

A lu pedi di na vacca

nc’è Maria chi mungi l’acqua

e la mungi a lu bariddhuzzu

pe’ mi lava lu Bambinuzzu.[2]

Neanche i figli di comare Annunziata sarebbero venuti per quel Natale e chissà se sarebbero venuti mai più. Sette figli e tutti in America! La povera vecchia, vedova da qualche anno, era rimasta sola, sola e malata, ma lei non si lamentava si conortava[3] alla volontà di Dio e anche se il medico le aveva proibito le fritture stava lo stesso preparando le zippole. Le preparava ma poi non le avrebbe assaggiate: le avrebbe regalate a qualche poveretto per l’anima dei morti. Ma, intanto, almeno faceva fumo e hjavuru[4] ché, con tutti i suoi dispiaceri, bisognava lo stesso dare conto ai vicini.

E la grotta è proparata,

circondata dai pastori,

e là dentro Maria Mbeata

con suo figlio il Redentori!

Ora, finalmente, la sera della Vigilia di Natale era arrivata. Dalle case si spandeva un intenso odore di frittura: si stavano preparando zippuli, buffeddhi e nnacatuli[5] che si sarebbero aggiunte ai pretali preparati nei giorni precedenti e decorati con gileppu e diavulicchi.[6]

I ragazzi avevano giocato tutto il pomeriggio con le nocciole: a li casteddha, a li parateddhi, a lu piriddhu, a ciluneddhu, a la fossitta, a tavula vecchia – tavula nova, a cefalè – cembortè. Poi erano andati in giro a cantare l’ultima ninnarella così diversa nel motivo e nel ritmo da quelle dei giorni precedenti.

O buon pastor vegliate,

andate a trovare Gesù:

è nato il Re degli Angeli

e non si dorme più!

Finito di cantare, avevano chiesto la strina[7] con la rituale frase in grecanico ” Mu donnite o pao?” (“Mi date o me ne vado?”) spesso storpiata in “Madonna Topau”.

Ora erano tutti là, piccoli e grandi, attorno al fuoco del pagghjaru[8] ad aspettare che suonasse la messa di mezzanotte. C’era pure mastro Rosario lo stagnino, un originale ed un Bastian contrario, che, forse proprio per questo, amava professarsi ateo. Probabilmente era soltanto agnostico. Sicuramente era un mangia preti. Era, è vero, rispettoso del sentimento religioso altrui e mai una bestemmia fu udita uscire dalla sua bocca, ma non perdeva occasione per scagliarsi contro la Chiesa, i suoi apparati, i suoi cerimoniali.

Quando dal campanile di Susu[9] partì il suono festoso delle campane, mastro Rosario si alzò in piedi, si tolse il cappello, con quello si fece il segno della croce e lo tenne poi appoggiato al petto in gesto di ispirato raccoglimento. Tutti lo guardarono con meraviglia: che il Natale avesse operato il miracolo? Che il suono delle campane avesse ricondotto all’ovile la pecorella smarrita?

L’illusione fu di breve durata. Alzando gli occhi al cielo con aria caricaturalmente ispirata ed imitando il tono salmodiante di suo cugino il canonico, mastro Rosario recitò questa…”preghiera”:

Santa Campana,

chi la to’ buci mandi luntana,

leva a cu’ ndi chiama:

s’è sangristanu

mi resta cu la corda a la manu;

s’è previti di missa

non mi nci baca mi spiccia chissa![10]

                                                                                             Francesco BORRELLO 


[1] Sotto una pianta di nocciolo, c’è una culla piccolina, San Giuseppe e San Gioacchino, che cullavano il Bambino.

[2] Ai piedi di una mucca c’è Maria che munge l’acqua e la munge in un piccolo barile per lavare il Bambinello.

[3] Confortava.

[4] Odore.

[5] Dolci natalizi.

[6] Crema densa e palline di zucchero colorate usate per guarnire i dolci.

[7] Strenna.

[8] Falò rituale che viene acceso la Vigilia di Natale.

[9] La cattedrale.

[10] Santa campana che la tua voce mandi lontana, porta via chi ci chiama: se è sagrestano che rimanga con la corda in mano; se è prete di messa non faccia in tempo a terminare questa!