Era appena strapuntata laggiù alle “Muretta”, col suo inconfondibile sciale rosso, quando Mastro Ciccio, che stava approntando il braciere nel suo orto della Punti, la vide.

Maruzzeddha che tornava a Bova di venerdì? Cosa giusta non era!

E difatti non era cosa giusta. Aveva detto alle compagne ed al fattore che la notte aveva avuto la febbre e se ne ritornava a casa un giorno prima. Ma la notte non aveva avuto la febbre, aveva avuto un sogno. Si era coricata stanca morta, dopo una giornata a raccogliere olive nelle terre del Barone e, nel mezzo di un sonno agitato, aveva sognato la Regina con una murrata di figlie femmine. Brutta cosa! Si sa: le figlie femmine son croci anche per le teste coronate. E perciò sognare figlie femmine è malaugurio. Ma è malaugurio pure sognare la Regina e allora… figurarsi le due cose assieme…

Era un tremendo malaugurio, sì, e lei lo sapeva bene: glielo aveva insegnato la nonna. Era una delle tante cose che le aveva insegnato la nonna e lei subito alla nonna aveva pensato. Un triste presentimento le incupì l’anima e l’angoscia le serrò la gola. Era legatissima alla nonna e il pensiero che potesse accaderle qualcosa l’atterriva. Certo, un giorno sarebbe morta anche lei, come tutti, ma quest’idea Maruzzeddha la rifiutava, la respingeva, si disperava prima del tempo. Temeva, quando fosse successo, di non reggere il colpo, di cadere ammalata, di uscire di senno.

Non riusciva ad immaginare la sua vita senza la nonna. Era stata sempre presente nella sua vita e non solo nei momenti importanti, belli o brutti che fossero, ma costantemente, con premure e affetto che Maruzzeddha ricambiava dal profondo del cuore.

Ora, mentre arrivava a Madonneddha, riandava con la mente all’infanzia, agli infiniti bacetti, ai teneri abbracci, ai giochi, le fiabe, le filastrocche, gli aneddoti.

Quando Maruzzeddha era bambina, era uno spettacolo vederle assieme: non sembravano nonna e nipote. Un momento sembravano due adulte sedute a ragionare assieme ed un attimo dopo, sdraiate per terra, parevano due bambine intente ai loro giochi. E quando sembravano effettivamente una bambina ed una adulta era la nonna che pareva la bambina e la nipote che sembrava l’adulta.

E, man mano che Maruzzeddha cresceva, quante cose pratiche la nonna le aveva insegnato. Ne aveva fatto una donnina di casa che in casa sapeva fare tutto. Sapeva riassettare, cucinare, fare il pane, i dolci, cucire, ricamare e sapeva persino usare il telaio.

Ma quello che aveva imparato meglio era lavorare a maglia e lavorare a maglia era diventato il loro passatempo preferito. Si mettevano assieme a sferruzzare, nonna e nipote, sedute sul bizzolu, il gradino del portone, e intanto commentavano i fatti del paese, si confidavano i propri pensieri, facevano progetti per il futuro e, ogni tanto, la nonna le raccontava ancora la fiaba de “Il Re dell’Inguitterra” come se fosse rimasta una bambina.

E, lavorando a maglia, avevano realizzato quei due magnifici scialli rossi che indossavano da ottobre fino a maggio.

Era successo che, quando Rosu Perciasacchi aveva chiuso la sua merceria per trasferirsi dalla figlia in Francia ed aveva liquidato tutta la mercanzia, Comare Maria, la nonna, ne aveva approfittato per accaparrarsi tutte le matasse di lana di colore rosso per realizzare quello splendido scialle che aveva visto sulle pagine di “Famiglia Cristiana”.

Ci avevano perso parecchie giornate appresso a quegli scialli ma alla fine ne era valsa la pena. Erano venuti proprio bene, sputati quelli della rivista, e, ad opera finita, la nipote regalò il proprio lavoro alla nonna e lo stesso fece questa con la nipote.

E ora, questi due scialli, rendevano ancora più evidente, quasi tangibile, il loro legame, il loro essere inseparabili.

La prima volta che si separarono fu, appunto, quando Maruzzeddha andò a giornata dal Barone per raccogliere le olive. Ne soffrirono tutt’e due ma la nonnina la consolava e si consolava fantasticando:

  •  Vedrai che qualche giorno, a trovare il Barone, passerà il figlio del Re dell’Inguitterra e, quando ti vedrà, ti vorrà sposare e ti porterà con lui e diventerai Reginotta.
  • E tu, nonna?
  • E io rimango qui. A me non mi vorranno a Palazzo Reale.
  • Allora rimango anch’io! Non voglio starci a Palazzo Reale senza di te!
  • Vabbè – sorrise compiaciuta la nonnina – se non vuoi il Principe, qua a Bova o giù alle Marine, troverai comunque un bravo giovane. L’importante è che sia onesto, lavoratore e ti voglia bene!
  • E voglia bene anche a te! – aggiunse Maruzzeddha.
  • Questo, semmai, viene per ultimo. Sono le doti che ti ho detto che è importante che abbia però stai attenta: quello che c’è nel cuore di un uomo e nel profondo del mare solo Dio lo sa! Ma tu, sono sicura, saprai scegliere bene!

Ora, invece, dalle Marine, Maruzzeddha tornava di corsa, senza Principe, senza bravo giovane e col quel nero pensiero nel cuore.

Quando passò dalla Punti, Mastro Ciccio la salutò e le chiese: – Che fu, Maruzzeddha?

  • Niente: stavo poco bene e sono rientrata prima.

 Salutò e proseguì senza fermarsi. Con quattro ancate raggiunse casa e si infilò nel portone sempre aperto. Nella cucina vide la nonna che sfaccendava, le corse incontro e l’abbracciò con trasporto.

  • Bonu, bonu, chi succediu? – le chiese comare Maria sorpresa – Perché sei tornata un giorno prima?
  • Niente, niente, tu come stai?
  • Come sto? Sto bene! Non mi vedi?
  • Sì, ti vedo ma il fatto è che ho fatto un brutto sogno… – e le raccontò tutto.
  • Ma no, stai tranquilla: sto bene, non andare appresso alle chiacchiere degli antichi. Anzi, più tardi, jampru, vado in campagna, laggiù a Karabrò, a raccogliere un po’ d’erbe e di frutta.
  • No, tu non vai da nessuna parte! Ci vado io! – e non voleva sentire ragioni.

Ma la nonna insisteva: – Ma tu sei appena arrivata stanca dalle Marine… e ti vuoi fare quest’altra camminata?

  • E che importa? Tanto dovevo farla comunque.

Ed era vero. Infatti, quando la nonna andava in campagna, dopo aver sbrigato i suoi lavori, appendeva lo scialle rosso al pero vicino alla casetta. Era quello il segnale convenuto perché qualcuno andasse ad aiutarla a portare a Bova quello che aveva raccolto. L’incaricato era Turuzzeddhu, il nipote piccolo, ma quello, preso dai suoi giochi, spesso se ne dimenticava e toccava a Maruzzeddha andarci al posto del fratello. Ma a lei non dispiaceva, anzi ne era felice.

Così quel giorno decise di andarci direttamente lei e di lasciare la nonna a casa a riposare. Si era tranquillizzata ma un po’ di prudenza non guasta mai.

Ma gli antichi non sbagliano e se dicevano che sognare la regina e sognare figlie femmine è malaugurio vuol dire che sapevano quello che dicevano. Infatti, poco prima di mezzogiorno, comare Maria si sentì improvvisamente male. Fu subito chiaro che era cosa seria e corsero a chiamare il medico.

  • Se chiamate il canonico fate prima – disse lei con un filo di voce – Piuttosto correte a chiamare Maruzzeddha, se fate in tempo. – Poi ebbe un’idea – Intanto mettete il mio scialle rosso sulla pergola di Mastro Ciccio: se lo vede, può darsi che capisce.

Infatti Maruzzeddha lo vide e capì. Capì che quella volta il segnale funzionava al contrario ma che, a differenza delle altre volte, nessun aiuto poteva portare alla nonna. Buttò a terra quello che aveva in mano e corse via, verso Bova, senza nemmeno chiudere la porta della casetta e le lacrime se le inghiottiva strada strada.

Arrivò senza quasi più respiro quando senza respiro stava per rimanere per sempre la nonna. Si strinsero in un lungo e disperato abbraccio e la povera donna chiuse gli occhi contenta.

Dopo i primi momenti di pianto e di sconforto, qualcuno disse che bisognava pensare a sistemare e vestire la defunta per prepararsi a comporla nella bara. La figlia e alcune vicine stavano per apprestarsi al triste compito, quando Maruzzeddha disse decisa: – No! Uscite tutti e lasciatemi sola. Ci voglio pensare personalmente io.

E da sola assolse tutte le incombenze: la lavò con l’acqua e con le lacrime, la vestì, la pettinò e tutto con estrema delicatezza, come se fosse ancora viva. Le mise addosso lo scialle rosso e fece entrare nuovamente gli altri.

Poi si chiuse in un afflitto e disperato mutismo e non disse parola né durante la veglia, né durante il funerale, né durante la sepoltura.

Al ritorno dal cimitero, non volle rientrare con gli altri, chiusa nel suo dolore, se ne tornò da sola tagliando per le scorciatoie. Quando passò dalla Punti, vide lo scialle appeso alla pergola di Mastro Ciccio. Entrò nell’orto, lo staccò dai tralci e, con gesto abituale, se lo buttò sulle spalle. Dopo averlo fatto però pensò che era sconveniente indossare quello scialle rosso sul nero del lutto e fece per toglierselo. Ma, in quel momento, un altro improvviso e doloroso pensiero le attraversò la mente: quello era lo scialle della nonna! Quindi la nonna era stata seppellita con lo scialle della nipote…

Si rammaricò dell’errore, si angosciò per la distrazione commessa, le sembrò una mancanza di riguardo nei confronti della defunta e un brivido freddo le attraversò la schiena. Si strinse più forte nello scialle e ne fu confortata.

 E fu in quell’istante che capì che, se una parte di lei, assieme al suo scialle, era stata sepolta per sempre con la nonna, una parte della nonna continuava a vivere in lei e le avrebbe fatto sentire per tutta la vita il suo caldo e tenero abbraccio.

FOTO DA WIKIPEDIA