Riproposizione Rubrica Europa Ellenofona di Filippo Violi 2016 Copyright

LE VISCERI MALATE DELLA CULTURA GRECA DI CALABRIA SI BAGNANO COL SUDORE DELLE MENTI E DELLE FRONTI La produzione poetica ed in prosa in lingua greco-calabra dei secoli scorsi ha ricostruito il fitto panorama letterario che fa da contorno alle figure dei “cantori1” e dei “narratori” anonimi.

Nel passato, infatti, è emersa una schiera di autori che ha contribuito alle dinamiche intellettuali che hanno condotto alla definizione della nostra letteratura. I temi narrativi e poetici dei Greci di Calabria argomentano la realtà contemporanea, il ricordo del passato, il costume e le tradizioni di sempre, l’amore, ecc..

Questo fatto determina una sostanziale opposizione fra lingua grecanica (la parlata dell’uso quotidiano) e lingua romanza o italiana, che da molti è sentita anche come un’opposizione tra vita e realtà contadina da un lato e mondo dominante dall’altro. Si giustificano così, specialmente nell’Ottocento, le scelte della lingua greco-calabra come lingua letteraria in estensori anonimi che vogliono dare un più preciso e forte contenuto di realtà vissuta e viva al proprio esercizio letterario.

Va detto che la scelta di una lingua “altra” diventa nel corso del secondo Novecento sempre più spesso una libera opzione per uno strumento espressivo efficace e pienamente dominato dallo scrivente, anche senza intenti polemici o regressivi, proprio in relazione al fatto che mano a mano che ci si avvicina al presente anche sul piano sociale e culturale la lingua grecanica ha riconquistato una sua piena dignità espressiva e culturale, non è più ostracizzata come era accaduto in passato (ed anzi è stata in anni recentissimi, nell’ultimo quarantennio all’incirca, fortemente rivalutata su tutti i piani).

Rimane invece, inevitabilmente, il fatto della difficoltà e della limitata possibilità di circolazione di una poesia o letteratura in lingua greco-calabra, accentuata proprio dal progressivo imporsi della lingua nazionale come lingua della comunicazione ordinaria presso tutti i ceti e in tutte le aree geografiche d’Italia e dal fenomeno del distacco dal dialetto da parte delle giovani generazioni (anche in ambito locale sono sempre meno i giovani che mantengono una buona competenza del dialetto dei genitori e delle generazioni più anziane).

Da quando sono stati pubblicati i Testi Neogreci di Calabria dei proff. Rossi-Taibbi e Caracausi nel 1959, ben poca cosa è stata la produzione letteraria in prosa in lingua calabro-greca. Alla base di questa constatazione vi erano e vi sono quattro motivazioni ineludibili. La prima riposa tutta nel fatto che la lingua ha perso molto del suo smalto iniziale, quantomeno quello riferibile al periodo in cui i testi sono stati raccolti, ed è stato deprivato di interi settori lessicali legati proprio alla tradizione orale in questione.

La seconda è legata ad una scelta culturale obbligata: una facies economica, sociale, politica e culturale diversa; il nuovo, cioè, che ha soppiantato il vecchio attraverso una continua omologazione culturale ed un processo di integrazione linguistica e sociale, passata attraverso giornali, tv, cinema, modi di vita diversi, ecc..

In parole povere è venuto a mancare uno dei soggetti principali della utilità del racconto, l’utente, il bambino che alla sera ascoltava le fiabe, i racconti, le novelle accanto al braciere, non esiste più!

II tentativo di continuare a scrivere favole, novelle e racconti è stato, quindi, ed è più una esigenza legata alla salvaguardia di ciò che resta della lingua greco-calabra, che alla necessità primaria di trascorrere una serata in compagnia con i figli o con i nipoti. La terza è che le opere sono state composte da autori di una generazione di mezzo, lontana da quei tempi, non più fruitori diretti del dialetto greco-calabro, strumento di comunicazione e di espressione di una società autarchica, agro-pastorale. La quarta è legata allo strumento di comunicazione per eccellenza che individuava quei fatti: l’oralità. Non farò qui un esame di questi quattro punti segnalati anche perché, se pur per altre fatti, sono stati dibattuti vastamente.

Ciò che maggiormente ci interessa è riportare la maggior parte della prosa e della poesia di questi ultimi cinquant’anni, rimandando per le opere complete ai lavori già pubblicati ed ancora reperibili. Dal 1960 (ma sarebbe più opportuno spostare la data esattamente al 1968-69, data di nascita della Jonica) ad oggi, si è prodotta una messe di lavori in prosa che può essere così riassunta:

– n. 100 favole esopiche riportate da G.A. Crupi in La glossa di Bova; – n. 10 favole vutane riportate da G.A. Crupi in La glossa di Bova; – n. 2 favole esopiche riportate da G. Falcone in Testi bovesi in trascrizione fonetica; – n. 4 racconti riportati da G. Falcone in Testi bovesi in trascrizione fonetica; – n. 2 piccole commedie riportate in questo stesso testo ed opera di Domenico Nucera (milinàri) e F. Violi – n. 10 racconti riportati da F. Violi in Tradizioni popolari grecocalabre; – n. 1 novellina riportata da F. Violi in Tradizioni popolari grecocalabre; – n. 2 fiabe riportate da F. Violi in Tradizioni popolari grecocalabre; – n. 1 romanzo scritto e pubblicato da S. Nucera dal titolo Chalònero – n. 1 racconto romanzato, quasi un diario di “bordo”, scritto e pubblicato da F. Condemi dal titolo, To taxìdi – n. 5 pensieri scritti da B. Casile in Strafonghìa sto scotìdi; – n. 11 racconti scritti da B. Casile in Strafonghìa sto scotìdi; – n. 1 testo di tradizioni e fatti raccolti e pubblicati da AA.VV. (Minuto, Zavettieri, Nucera) in Dialoghi greci di Calabria; – alcuni racconti e fatti di vita paesana raccolti da D. Rodà in La lingua mozzata e in Grecanici, e nella Grammatica grecanica di F. Condem

i; – Rimangono fuori da questo “censimento” alcuni racconti di vita vissuta sparsi e pubblicati in «Calabria Turismo», «Calabria Sconosciuta» e in qualche periodico come «Ellenofoni di Calabria», I Riza» e naturalmente «I Fonì Dikìma» e «I Fonì tu Richudìu». Per quanto riguarda la parte antologica, segnalo i testi di: Nucera Salvino (Agapào na graspo e Chimàrri); Filippo Violi (Pèmu jatì? e To mavro drapàni); Bruno Casile (Strafonghìa sto scotìdi); Francesca Tripodi (Piccolo canzoniere grecanico); Filippo Violi (I Nuovi Testi Neogreci di Calabria, vol. I e vol. II, che contengono n. 500 poesie di tutti gli autori dei paesi ellenofoni e l’inedito); Antonio Nucera (Vasìa tis Amiddalìa) Di tutto ciò naturalmente riporterò i brani non reperibili nei testi già pubblicati dagli autori, rimandando, di necessità, ai lavori in circolazione e che segnalo in nota.2 Del romanzo di Salvino Nucera e dell’opera di Bruno Casile riporterò alcuni brani esemplificativi. Tutto il materiale inserito in questo volume della Letteratura non è riportato nei Testi Neogreci di Calabria del Rossi Taibbi e Caracausi.   ____________________________________________

1 Non va dimenticato che la lingua grecanica, essendo stata negli ultimi secoli una lingua orale, la produzione poetica veniva cantata e tramandata di padre in figlio. 2 AA.VV., Dialoghi greci di Calabria, Laruffa, Reggio C., 1998; B. CASILE, Strafonghìa sto scotìdi, Quale Cultura-Jaca Book, Cosenza, 1991; G.A.CRUPI, Cento favole esopiche, in La glossa di Bova, A.C. Jonica, Roma, 1980; F. CONDEMI, To taxidi, ed. Cumelca, 1992; S. NUCERA, Chalònero, Qualecultura, Vibo V., 1993; F.VIOLI, Le radici della nostra cultura, C.S.E., Bova M.,1991; F. VIOLI, Tradizioni popolari grecocalabre, Apodiafàzzi, 1999  

Foto dal figlio Timoty- Opera di D.Mauro