All’udienza con il Pontificio Collegio Messicano il Papa scruta la vocazione dei ministri della Chiesa. Contro la tentazione della mondanità spirituale è necessario, afferma, lasciarsi modellare da Dio nella carità, che fa allargare il cuore e spinge ad abbracciare gli esclusi

In una società afflitta da violenza e diseguaglianze e segnata dalla pandemia, il sacerdote è chiamato a portare uno sguardo di “tenerezza, riconciliazione e fratellanza”, conformandolo così a quello con cui il Signore “ci contempla”. Su queste tre parole chiave il Papa intesse il suo discorso parlando in spagnolo alla comunità del Pontificio Collegio Messicano, ricevuta in udienza. È la configurazione sempre più profonda con il Buon Pastore a suscitare “in ogni sacerdote un’autentica compassione, sia per le pecore che gli sono affidate, sia per quelle che si sono smarrite”, rimarca Francesco. Centrale anche l’esortazione a prendere coscienza e correggere le proprie carenze e a non sottovalutare le tentazioni mondane.

Le sfide poste dalla pandemia

Di formazione si occupa infatti il Pontificio Collegio Messicano. Venne fondato nel 1967 e in origine fu concepito come seminario, ma molto presto consolidò la propria identità come comunità sacerdotale, con la missione di favorire la formazione permanente integrale dei sacerdoti messicani inviati a Roma dai rispettivi vescovi, per porla poi al servizio del Popolo di Dio una volta rientrati in patria. All’inizio del suo intervento il Papa ringrazia il rettore, padre Víctor Ulises Vásquez Moreno, per aver ricordato le principali sfide per l’evangelizzazione del Messico e dell’intero continente americano, in particolare a causa della pandemia. Sfide che hanno impatto anche sul cammino di formazione permanente che i sacerdoti intraprendono.

No a atteggiamenti autoreferenziali e fughe da responsabilità

In questo senso è dunque “essenziale armonizzare la dimensione accademica, spirituale, umana e pastorale nella formazione permanente”. E allo stesso tempo il Papa esorta a “prendere coscienza” delle “carenze personali e comunitarie, così come – indica – delle negligenze e mancanze che dobbiamo correggere nella nostra vita”. Invita a “non sottovalutare le tentazioni mondane che possono portarci a una conoscenza personale insufficiente, ad atteggiamenti autoreferenziali, al consumismo e alle molteplici forme di fuga dalle nostre responsabilità”. Richiamandosi a De Lubac, Francesco ricorda che “la mondanità spirituale è il peggiore dei mali che può capitare alla Chiesa”, peggiore persino “dell’epoca dei Papi concubinari”. La mondanità, ha spiegato, “è la porta della corruzione”. 

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