MILANO – L’Italia è 31esima, ultima tra i principali paesi avanzati, nella classifica 2018 della competitività globale stilata dal World economic forum, guidata quest’anno dagli Stati Uniti.
Una classficia che passa al setaccio punti di forza e debolezze competitive di 140 paesi ed è basata su una serie di indicatori che quest’anno – spiega il Wef – sono stati per la maggior parte rivisti per tenere conto dei fattori che guidano la ‘quarta rivoluzione industriale’, tanto che l’indice globale è stato ribattezzato ‘Global competitiveness index 4.0’. A incidere in modo rilevante nell’era della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale e della robotica sono fattori quali la capacità di innovare e di avere aziende rivoluzionarie, cioè che rompono gli schemi, ma nella competitività 4.0 Contano anche la ‘diversity’ della forza lavoro e i diritti dei lavoratori.
Tuttavia, segnala il Wef, l’economia globale non sembra ancora preparata per la quarta rivoluzione, nel senso che 103 dei 140 paesi esaminati non raggiungono la sufficienza (50 punti su 100) nella capacità di innovare, che è essenziale per stare al passo con nella corsa dela competitività 4.0.
L’Italia, per altro, con un voto pari a 66, è nel ristretto novero dei paesi che hanno questa abilità. Non c’è conflitto tra competitività e politiche di inclusione, sottolinea inoltre il rapporto, ammonendo che “tentare di far fronte alle disparità ‘ribaltando’ la globalizzazione è controproducente e disastroso per una crescita economica sostenuta”. Le politiche dovrebbero essere indirizzate a migliorare le condizioni di quanti hanno subito l’impatto della globalizzazione, invece che favorire il protezionismo.
La mappamappa’Reti di salvataggio’, investimenti nel capitale umano, quali la formazione e l’aggiornamento professionale e una tassazione più progressiva possono ridurre le disparità senza compromettere il livello di competitività di un paese, indica lo studio, che si basa su 12 parametri principali e un centinaio di sub-indici.
L’Italia nell’insieme ha una posizione stabile nella graduatoria rispetto a quella del 2017 ricalcolata sulle nuove basi, è 17esima in Europa e attira sua malgrado i riflettori anche perchè “resta il paese avanzato con il tasso di crescita piu’ basso, anche se il pil sta crescendo dell’1,5%, il livello più alto dal 2008”. Per aumentare la sua prosperità, il paese “dovrebbe fare leva sui suoi vantaggi competitivi e far fronte alle sue debolezze”. Tra queste ultime continuano ad esserci il peso della burocrazia, la rigidità del mercato del lavoro e la vulnerabilità del sistema finanziario, legata al peso dei non performing loan.
I maggiori vantaggi competitivi, secondo il Wef, stanno nelle condizioni di salute della popolazione (sesto posto assoluto grazie alla longevità), nelle dimensioni del mercato (12esimo), nella capacità di innovazione, dove l’Italia è 22esima grazie all’eccellenza dei distretti (quarta al mondo), alle pubblicazioni scientifiche (settima) e alla qualità delle sue istituzioni di ricerca (nona). Tra le aree dove l’Italia deve migliorare ci sono le infrastrutture, in particolare la qualità delle strade, le competenze, in particolare il training dei lavoratori (104esima), la varietà della forza lavoro in termini di genere, etnia e religione (137esima) e lo sviluppo di ‘aziende rivoluzionarie’ , cioè le imprese che non temono di lanciarsi in business ‘dirompenti’ anche se più rischiosi.

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