Siamo in un momento difficile per la Calabria, che rischia di fermarsi, soffocata da rigidezze ideologiche, da rivendicazioni sterili, dalla difesa di interessi particolari, da preconcetti, dalle tragedie innescate dai “tragediatori”, che ne frenano lo sviluppo. Non si tratta di trovare un politico libero, si tratta di esserlo e la politica come teatrino, come messa in scena, non durerà più di un mese. La gente non crede più agli avventurieri o ai fumaioli perché vorrebbe un classe politica libera anche da altri poteri istituzionali, che pensi in grande; che sappia osservare, ascoltare i bisogni e dare indicazioni per progettare e utilizzare i fondi U.E., che vengono sistematicamente bloccati da intrecci burocratico-affaristici. La vera politica è vivere, dedita all’esistenza con passione, paziente, senso della gratuità; determinata negli ideali nel muovere alla ricerca del bene comune. E’ l’impegno gratuito di sé, nel lavoro, nel tirar su famiglia, nell’incontrare, che fa crescere la vita e la convivenza. Senza educazione nessuno riesce ad amare gli ideali più del proprio tornaconto, senza cultura sussiste la fine di una Regione, di una civiltà. In molti campi la Calabria può dare di più: a chi vive, a chi cerca le sue bellezze, a chi cerca lavoro e mezzi per una vita più dignitosa. La nostra identità e la nostra operosità non consentono guerre travestite, ma la partecipazione e l’arte del compromesso per trovare soluzioni e creare sviluppo. Un sistema economico, sociale e istituzionale realmente efficiente, affinché il lavoro sia un’azione e non una torta, una scienza nuova del lavoro, che è il sapere nuovo dell’uomo in azione. Alle elezioni appoggeremo i candidati che esprimano attenzione ai valori e alle dinamiche sociali di partecipazione e ne possono garantire vitalità autentica; che siano fuori dalle secche della burocratizzazione e dei rischi di un’invisibile strisciante autoritarismo, che non riconoscano come follia reazionaria ogni tentativo di restaurare la legalità. Ma i calabresi non protesteranno contro la corruzione e non ricorreranno alla violenza, eviteranno di andare votare. L’innato vincolo di servizio che l’etica militare, appresa dall’esperienza -anzitutto interiore- di una guerra sorda combattuta in Aspromonte, direttamente e indirettamente, ha insegnato a legarmi indissolubilmente ai miei compagni. Siamo stati proscritti per scelta, poiché non abbiamo potuto, né abbiamo voluto, più tornare indietro; abbiamo provato a edificare un modello fondato sulla mobilitazione totale e permanente per trasformare l’uomo qualunque in un combattente fervente, votato al sacrificio disinteressato. Ma la crisi delle ideologie scatena incontrollate tendenze centrifughe e i cittadini ogni giorno sono attraversati da dubbi laceranti sulla condotta più opportuna da tenere di fronte al dilagare dei particolarismi , dei piccoli e grandi arrangiamenti con la coscienza, delle comode ed allettanti scorciatoie verso il successo, verso la ricchezza, verso la fama di pseudo grandi condottieri. Il comportamento etico è il frutto di una retroterra personale, costruito nel contesto della famiglia d’origine, di quello sociale e culturale di provenienza. I nostri  giovani continuano a praticare il volontariato, nell’ambito di organizzazioni laiche o religiose, in contrapposizione a una Calabria terribilmente amara, dove gli onesti e gli imparziali, per non avere alle spalle partiti che li difendano o giornali che li esaltino, sono sopraffatti dai c.d. “giusti”. Ed è così che a gennaio proveremo a votare coloro che riescano a restituire al calabrese il senso del dovere e l’etica della responsabilità; che avversino caste e privilegi; che denuncino il malcostume nel contesto politico, economico e sociale; che educhino le nuove generazioni ad assumere l’impegno di essere futura classe dirigente, onesta, libera, professionale, responsabile; che promuovano incontri e dibattiti culturali per conoscere meglio ed approfondire le nostre idee e tradizioni. Nella terra dove non c’è posto per i Santi, dove non è permesso aspirare alla santità, se dovesse andar male, ci appelleremo alla Speranza Divina, pregando così: “Dammi, mio Dio, quello che ti resta, quello che nessuno Ti chiede mai …”