Riprendo questa frase che molti anni addietro, in occasione di una pubblicazione, mi venne spontanea per riassumere una situazione culturale o meglio l’esistenza di un bene culturale al quale noi calabresi siamo legati in modo imprescindibile.

Ho pensato che noi non abbiamo i grandi monumenti che testimoniano di un grande passato, non abbiamo i templi di Agrigento, di Paestum, il teatro di Siracusa, di Taormina, il nostro grande retaggio di un lontano passato è “Un monumento che non si vede, ma si sente: il Greco di Calabria”

Questa espressione l’ho concepita io, ma dal momento che la socializzo diventa di tutti, è conoscenza, è consapevolezza, e chiunque la può utilizzare.

Tutto ciò che studiamo, tutto ciò che ideiamo, è conoscenza dell’umanità. Chi vuole che una intuizione sia patrimonio personale, semplicemente, deve tenerla nella propria testa.

Immaginiamo Galilei che conosceva i principi della Dinamica, non li tenne per sé, li divulgò. A quel tempo la lingua della scienza era il latino. Accadde che quei princìpi furono studiati organizzati e socializzati, proprio in latino, anche da Isaac Newton e vanno sotto il suo nome. Faccio l’esempio della prima legge di Newton: «Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus à viribus impressis cogitur statum illum mutare.». Spettacolare.

Non risulta alcun contenzioso tra i due giganti.

Noi comuni mortali che a volte amiamo lo studio, l’approfondimento e principalmente la divulgazione, dobbiamo innanzitutto anteporre la modestia, poi l’autovalutazione e poi la comunicazione senza presunzione.

Ma che vuol dire autovalutazione? Faccio un esempio. Fintanto che si studia un argomento, si deve soltanto valutare l’attendibilità della fonte e poi, con un margine di incertezza proporzionato a tale attendibilità, accettare l’informazione.

Se invece di uno studio per ragioni divulgative o di arricchimento personale si vuole fare una ricerca linguistica o storica, in ambito mediterraneo, bisogna conoscere almeno quattro lingue del passato: latino, greco, ebreo e arabo, dietro le quali ci sono le tre grandi religioni monoteiste ben note.

La ricerca vera richiede la consultazione delle fonti originali, dei documenti, ecc. Non si può fare ricerca di terza mano senza prendere abbagli.

Dopo Atene e Roma, con le relative lingue, capitali che abbiano influenzato il mondo allora conosciuto, non se ne sono viste per secoli. E ancora oggi si attinge a quelle lingue. Si pensi alle denominazioni in botanica e in zoologia, tutte rigorosamente in latino (l’italiano è una lingua neolatina, si sa): Solanum tuberosus è il nome scientifico della patata; Xiphias gladius è il pesce spada; e poi un’enorme quantità di parole di uso quotidiano sono di origine latina. Quanto al greco, ci vorrebbero altrettanti volumi che per il latino per esplicitare la sua influenza, perché si presta a comporre parole nuove che noi usiamo correntemente senza riflettere sul fatto che praticamente parliamo greco.

Nel secolo scorso ci ha provato New York, la città per eccellenza sua e degli degli Stati Uniti, con le influenze esercitate nel mondo, si pensi alla diffusione della lingua inglese, al costume, alla musica, al teatro, all’economia, ai mercati, alla presenza militare in tutti i teatri di guerra, ecc. ma non credo che avrà lo stesso livello per secoli. Anzi qualcuno dice che sta appassendo.

Praticamente parliamo greco, dicevo, ma non solo noi italiani:

Perché si dice pediatra?

Il termine deriva dal greco παῖς, παιδός, (leggi paìs, paidòs) che significa «bambino», «fanciullo» e ἰατρεία (leggi iatreia), che significa «cura medica». E poi in francese pédiatre, in inglese pediatrician, in tedesco pädiatra (leggi pediatra), in spagnolo pediatra, in rumeno medic pediatru, in russo педиатр (leggi pediatr), in ceco pediatr, in portoghese pediatra. Può bastare? Potremmo fare migliaia di esempi.

Torniamo a noi, all’onomastica e alla toponomastica, quest’ultima soprattutto.

Un toponimo da l’impulso per ricercare nel passato: dall’etimologia alla ricerca del perché quel nome.

Prendiamo Sicaminò, toponimo di una contrada di Bova Marina. Se non conoscete le lettere greche dovete farvi aiutare, ma se le conoscete appena o meglio se conoscete l’alfabeto greco, con un po’ di fatica, come si dice arrampicandosi sugli specchi, cosultate un vocabolario, troverete Συκάμινος e scoprirete che si tratta dell’albero del gelso. Ma dovevano essere tanti i gelsi per denominare una località. Le foglie del gelso (in greco si chiama anche μούρο-moúro; il nome scientifico è Morus alba o Morus nigra, è di origine asiatica)  sono il nutrimento del baco da seta. Chi ha qualche anno ricorda che con il baco da seta c’era una economia locale, da noi, nell’intera Calabria, nel Meridione, nell’intera penisola. In Sicilia c’è un comune in provincia di Messina, si tratta del borgo di Sicaminò, una piccola frazione appartenente al poco distante comune di Gualtieri di Sicaminò, anche conosciuto come l’antico borgo dei bachi da seta. Ma poi la curiosità ti spinge e trovi che c’è la fenicia Sycamine in prossimità di Haifa nell’attuale Israele, e poi Hiera Sykaminos (El-Maharraqa) ad occidente dell’alto Nilo. Fermiamoci così, con un mio ricordo dell’età di otto anni quando mi trovavo a Sambatello. Anche li si destinavano intere stanze al baco da seta per arrivare al prezioso bozzolo: disponevano grandi “cannizze” (ripiani fatti di canne intrecciate) su diversi piani dove brulicavano e si nutrivano le larve di origine asiatica. Il bozzolo del baco da seta è costituito da una fibra continua di seta che può raggiungere i 900 metri di lunghezza, Nell’antichità classica la seta viaggiava dalla Cina fino ai paesi mediterranei lungo la famosa via della seta, senza che qui si conoscesse l’origine. Poi, si sa, le cose cambiano, le produzioni si adeguano alle mutate condizioni di mercato. Recentemente abbiamo scoperto che a Caulonia Superiore c’è ancora una dottoressa che persevera nel produrre il baco da seta; un gran testimone del tempo.

Dove c’erano tanti mandorli per avere il prezioso frutto con la parte commestibile, il toponimo diventava Amigdalà, in dialetto Middalà, dal greco amigdala che in greco è appunto mandorla.

In greco ἀμυγδαλέα, ἀμυγδαλῆ (entrambe femminili) è mandorlo, ἀμύγδαλον (neutro)=mandorla

Il toponimo Cotronei sarebbe una declinazione al genitivo del termine Cotrone, antica denominazione dell’odierna Crotone. Letteralmente, Cotronei significherebbe pertanto “di Cotrone”

Nel XVI secolo la città, re di Spagna Carlo V, viceré don Pedro Toledo, venne chiamata “Cotrone”.
Nel 1928 la città cambiò nome da Cotrone a Crotone. E meno male altrimenti avrei avuto il cacofonico cognome Crotonei.

Κρότωνin greco antico, Κρότωνας in greco moderno, Cutroni in dialetto crotonese, Croto in latino.

La fondazione di Crotone risale al 718 a.C., come citato da Eusebio nel suo “Cronicon” sebbene altre fonti la rimandino al 710 a.C., o al tempo del re Polidoro, nel 743 a.C. La città venne fondata dagli Achei.
La leggenda narra che il nome Crotone derivi da “Kroton”, figlio di Eaco, che morì ucciso per errore dal suo amico Eracle. Questi, per rimediare all’errore compiuto e per onorare l’amico che lo aveva ospitato, lo fece seppellire con solenne cerimonia sulle sponde del torrente Esaro e poi vicino alla tomba fece sorgere la città a cui diede il suo nome.

Da ogni parola una lunga storia. I nostri monumenti.

Prendeteci gusto, come ho fatto io, che mi arrampico sugli specchi non avendo mai studiato organicamente il greco.