Le luci del mattino avvolgono le strade ancora libere di gente in un incanto di colori. Il profumo di pane fragrante che arriva dal panificio all’angolo è così forte da stordire i sensi che si risvegliano al nuovo giorno.  La mente immagina brioches fresche e biscotti “Reginelle” mentre il caffè è già pronto in cucina e l’aroma trascina occultando i pensieri. Sarà un altro giorno di silenzi e di briciole di vita spiata dal balcone di casa mentre il ricordo di gente e clacson strombazzanti agli incroci si perderà nell’archivio del mese passato.

Palermo ai tempi del coronavirus, una città in quarantena. Un popolo, quello palermitano, difficile da inquadrare in un sistema di regole da seguire. Gente festaiola che vive in simbiosi col cibo, le specialità culinarie e la vasta gamma di prodotti dolciari legati a qualsiasi periodo dell’anno. Un’arte unica al mondo, un’ attrazione turistica senza precedenti. Bellissima e irraggiungibile  come la più bella delle donne, Palermo si stende come un manto accogliente ogni mattina e ospita il caos dei suoi abitanti, figli ingrati incapaci di comprenderne fino in fondo il mistero.

Stranamente e contro ogni previsione, però, la quarantena ha cambiato Palermo, ha zittito i bollenti spiriti dei giovani riuniti nelle piazze o impegnati nello shopping e ha limitato gli spostamenti degli adulti, rassegnati ad una immobilità che mai avrebbero immaginato di riuscire ad accettare. Un lungo processo educativo ha così forgiato il loro carattere, la paura ha esercitato il suo potere trasformando una buona parte della popolazione in individui disciplinati capaci di rispettare una coda all’esterno di un supermercato mantenendo bene le distanze: il palermitano che le distanze mantenerle non ha saputo mai.

I “Palermitani” si salutano baciandosi sulle guance, ogni mattina, uomini e donne, ragazzi e ragazze. E’ un calore umano che sorprende tutti, una carica affettiva che ti travolge se vieni da fuori o se per un periodo hai vissuto altrove e hai deciso di tornare. Difficile quindi pensare di non toccarsi al momento del saluto, imporsi la distanza, manifestare il sospetto, volgere altrove lo sguardo. Difficile il tempo del coronavirus se sei palermitano e l’abbraccio ti fa ribollire il sangue che ti si blocca dentro. Difficile non manifestare quello slancio di umanità che ti porti nel DNA da sempre e che probabilmente sarà un tabù, una parola proibita da questo momento in poi.

Le poche macchine autorizzate sfrecciano veloci al mattino presto, fendendo l’aria e impaurite al contatto. Le persone singolarmente incaricate della poca spesa si aggirano mascherate, il viso coperto di bianco, un viaggio in incognito poco lontano da casa. Un’atmosfera surreale grava sulle case, le strade, i palazzi e i suoi abitanti. Povere anime nostalgiche di un recente passato vivono in attesa di un ritorno alla vecchia routine, per quanto noiosa potesse apparire prima. Il percorso giornaliero che li portava in ufficio, in azienda, in negozio o a scuola si è trasformato in un desiderio inespresso e al momento non realizzabile mentre si guarda al futuro dei propri figli con occhi incerti. In bilico tra due realtà parallele, quella reale e quella virtuale, i palermitani auspicano un ritorno alla normalità del traffico e delle lunghe attese agli uffici postali, consapevoli che d’ora in poi niente sarà più come prima perché quella libertà che troppo a lungo hanno vilipeso e logorato ha deciso di abbandonarli per sempre.

Il ritmo costante dei giorni sempre uguali non può però impedire di pensare al dopo quarantena, alla vita post “Lockdown” delle porte finalmente aperte a vicini e conoscenti. Ricostruire non è sempre facile e la storia degli ultimi dopoguerra ce l’ha insegnato. Ricominciare dopo una rivoluzione storica senza precedenti, mentre è in atto una trasformazione genetica dei sentimenti e delle relazioni sociali, sarà un’impresa titanica che si scontrerà con fattori come il calo delle energie e l’abbassamento delle proprie difese immunitarie per prolungata clausura. Non basteranno i veli di zucchero sui dolci nelle famose pasticcerie né i profumi delle pietanze tradizionali a risollevare gli umori e a ristabilire la gioia e l’allegria. Il post crisi richiederà tempo e tempo ancora perché la mente offuscata di brutti ricordi si apra come nebbia al soffio del vento per lasciar penetrare aria nuova.

Una Palermo, sempre più aperta ed europea negli ultimi tempi, colma di turisti vocianti  e stupiti di fronte a tanta sorprendente bellezza guarda confusa ad un’Europa al contrario chiusa in se stessa, un’Europa in cui ha creduto incoraggiando progetti culturali e beneficiando spesso di fondi per importanti iniziative. Un’Europa che forse non sarà più lì al rientro, mentre il sogno unitario custodito negli ultimi decenni scomparirà in un soffio come per magia, vittima degli egoismi umani e dello sciacallaggio economico. I palermitani si riapproprieranno allora della loro storia e delle loro bellezze antiche, delle loro strade e dei loro palazzi seicenteschi mentre gli avi li sosterranno in questo recupero di una propria identità.

Tra le poche certezze ancora concesse, ne rimane una sola e gli abitanti di questa magnifica, contradditoria e sorprendente città la respirano giornalmente nel loro quotidiano vagare. Palermo risorgerà, come l’Araba Fenice dalle proprie ceneri, come la Palermo seicentesca post pestilenza. Dall’alto di Monte Pellegrino la figura eremita e solitaria della bionda Rosalia Sinibaldi, normanna di discendenza come molti siciliani, osserva, soffre e protegge i cittadini e li ama nonostante i loro difetti, come una madre che mai potrà abbandonare i propri figli.

Palermo, 26 marzo 2020