Se la poesia è innata, l’educazione viene impartita dalla società, che sia la piccola realtà familiare, i luoghi del tempo libero e la scuola. Ai miei tempi la scuola era magistra vitae, le maestre erano mamme severe ma amorevoli, complici delle nostre mamme nell’educare i piccoli ometti e donnine che avrebbero occupato un posto nella società. Ignara di ciò che sarebbe stato, mettevo le prime basi alla mia poesia, i valori che mi porto marchiati dentro e sempre attuali, come se ancora fossi quella piccola scolara.                                                                                                                                        Nella mia classe c’era un bambino bellissimo e tanto dolce, scriveva lunghi temi, dalle immagini bellissime come i suoi disegni. Ma quello che tanto mi piaceva di lui era il suo timido sorriso, bello come una poesia, proprio come quelle che imparava benissimo a memoria, anche meglio di tutti noi. Un giorno la maestra ci fece imparare la poesia “Il bambino negro non entrò nel girotondo”, di Geraldo Bessa Victor. A questa poesia ho sempre dato una chiave di lettura che è diventata poi la mia filosofia di vita, nel girotondo intorno al mondo ci diamo la mano perché siamo fratelli, non importa il colore della pelle, abbiamo tutti due occhi per vedere quanto la vita sia bella se c’è amore, due mani e due braccia per abbracciarci e sorreggerci, una bocca per cantare perché il canto è allegria e abbiamo un cuore che ci accomuna nei sentimenti. Una madre di colore ama il figlio allo stesso identico modo di una madre bianca.

Il mio compagnetto Rinku era solo un bambino, ma è stato il libro più bello che le maestre abbiano usato per insegnarci la vita quale sinonimo di amore. Non scorderò mai la voce, piena di dolcezza, della maestra Maria Napoli, lo chiamava “cioccolatino” ed avevo solo voglia di sentirmi anch’io un cioccolatino bianco, buono e tanto amato.

Era Carnevale, eravamo nel teatro dell’Oratorio Salesiano quando siamo stati chiamati sul palco per sfilare insieme; io indossavo un vestito da regina, lui splendeva con il suo sorriso tra le stoffe di un vestito bianco e dorato di principe indiano. È stato il momento più poetico della mia infanzia. Molti anni dopo ho scritto “Fiore dello stesso prato”… “bianco e nero il colore dell’amore, perché siamo due fiori di colore diverso, ma dello stesso prato”. La poesia non ha colore, si nutre di sentimenti, parla una sola lingua e abbraccia ogni sano ideale; la poesia non è razzismo.