Alla vigilia della Festa di Sant’Ignazio di Loyola, il preposito generale della Compagnia parla della missione dei Gesuiti nel mondo cambiato dalla pandemia: la tentazione degli autoritarismi è un rischio reale, abbiamo l’occasione di rafforzare la fraternità

Il mondo “distanziato”, la paura di un virus che non scompare e anzi in molte parti dilaga, il rischio di personalismi politici in una fase in cui è fondamentale la bussola orientata sul bene di tutti. E poi lo sforzo di proteggere i deboli, quelli che il Covid non risparmia ma che hanno poche o nessuna possibilità di tutelarsi a dovere, come ad esempio i migranti. La massima autorità della Compagnia di Gesù, il venezuelano padre Arturo Sosa, ragiona a tutto campo con Radio Vaticana – Vatican News nel giorno in cui la Chiesa celebra il fondatore Sant’Ignazio. Quello del preposito generale è uno sguardo ampio sulla missione condotta dall’Ordine, sulle pietre angolari della spiritualità che continuano a essere un faro, e sull’attualità più stringente, il ruolo giocato della Compagnia alla prova del coronavirus:

R. – Nella missione sperimentiamo le stesse prove vissute dalle popolazioni colpite. E, soprattutto, sperimentiamo le conseguenze sociali di questa epidemia. Mi vorrei soffermare su questo aspetto perché, sì, l’epidemia è senz’altro un problema sanitario, che forse sarà superato, ma le conseguenze sociali, economiche e politiche sono veramente qualcosa da prendere molto sul serio. Noi abbiamo cercato innanzitutto di capire come si può continuare a fare il nostro servizio ai più bisognosi in questo contesto. Ci sono tantissime esperienze. Mi viene in mente quello che fanno le Province della Compagnia di Gesù in India, nell’Asia meridionale. Tutte le Province hanno fatto in modo di far arrivare il cibo e le medicine, in modo molto generoso, alle persone che non sono capaci di provvedere da soli.

Il preposito generale dei Gesuiti padre Arturo Sosa
Il preposito generale dei Gesuiti padre Arturo Sosa

Abbiamo poi capito che non si può curare se stessi senza curare gli altri, e viceversa. Ci sono tantissime esperienze di accompagnamento, sia personale sia attraverso i social, che sono state fatte – e beninteso, qui non si tratta solo del celebrare le Messe in streaming, ma di essere presenti nella vita delle persone con tutti i mezzi di cui possiamo disporre in questo momento. È stata una esperienza molto complessa e molto interessante, che merita di essere valutata con il tempo. Devo anche dire che l’esperienza vissuta è una conferma del discernimento nella missione ricevuta tramite le preferenze apostoliche universali. Noi abbiamo scelto quattro preferenze che sono state approvate dal Papa, che ci pongono al cuore di ciò che si deve compiere adesso, nel contesto della pandemia: vedere che Dio ci può mostrare come dobbiamo camminare, trasformare le strutture sociali palesemente ingiuste, avere cura del creato e liberamente ascoltare i giovani che sono il seme della speranza per il futuro.

“Parecchi Paesi hanno sfruttato questa pandemia per cambiare la politica migratoria, il che è un grandissimo sbaglio se consideriamo di volere rendere il mondo più fraterno e giusto”
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