È atterrata ieri a Fiumicino l’equipe albanese arrivata in soccorso della nostra nazione. Sono in totale trenta professionisti, dieci medici e venti infermieri.
È un gesto che ha scosso i cuori di tutti noi italiani, quello dell’Albania. Una nazione che ancora deve riprendersi dal terribile terremoto dello scorso novembre, invia in nostro aiuto personale medico. Si, l’Albania che non è un paese fra i più ricchi, ha risposto al grido dell’Italia, non ha nascosto la testa sotto la sabbia, non ha fatto finta di non sapere, non vedere e non sentire, come sta accadendo nell’Unione europea. Unione: che parola strana, il vocabolario ci insegna che voglia dire “azione e l’operazione di unire, il fatto di unirsi o di essere uniti con uno o più altri individui, enti”, ma l’unica cosa ad essere unita oggi in questa Europa così divisa, è la macchia d’olio con cui il virus si sta espandendo.
Un vecchio proverbio popolare recita “la malattia fa venire fuori il meglio dalle persone, ma anche il peggio” e noi italiani lo stiamo sperimentando bene. Il peggio dell’Europa si è visto, ma abbiamo sperimentato l’altruismo, la coscienza civile e la prova che il bene fatto in passato, ritorna sempre indietro. Abbiamo ospitato le comunità albanesi nel loro momento storico peggiore, a partire dagli anni ’90, quando hanno fatto parte delle nostre famiglie e da ospiti sono divenuti fratelli e sorelle. E il popolo albanese questo non lo ha dimenticato. Ce lo ricorda bene Edi Rama nel suo discorso prima della partenza della sua squadra, in un italiano da fare invidia ai premier dell’Unione.
IL DISCORSO DEL PREMIER EDI RAMA
“Lo so che a qualcuno qui in Albania sembrerà strano che trenta medici e infermieri della nostra piccola armata in tenuta bianca partano oggi per la linea del fuoco in Italia. So che trenta medici e infermieri non risolveranno il rapporto tra la forza micidiale del nemico invisibile e le forze in tenuta bianca che lo stanno combattendo sulla linea del fuoco da quella parte del mare. Ma so anche che laggiù è oramai casa nostra da quando l’Italia e le nostre sorelle e fratelli italiani ci hanno salvati, ospitati e adottati in casa loro quando l’Albania versava in dolori immensi, noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile e le risorse umane e logistiche della nostra guerra non sono illimitate, ma oggi noi non possiamo tenere le forze di riserva in attesa che siano chiamate, mentre in Italia, dove si stanno curando in ospedali di guerra anche albanesi feriti dal nemico, hanno un enorme bisogno di aiuto”. Il primo insegnamento è che si rema insieme in questo mare agitato, e ognuno anche nel suo piccolo, deve fare la sua parte. La solidarietà è di tutti e per tutti, non è un “privilegio” tra l’altro destinato a pochi.
Ma è nella chiusura che arriva l’insegnamento più grande: non voltare le spalle a chi ha bisogno, a chi ha prestato soccorso perché la memoria storica, civile, non deve essere corta.
“È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere, anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse perché non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà. Questa è una guerra in cui nessuno può vincere da solo. E voi coraggiosi membri di questa Missione per la Vita state partendo per una guerra che è anche la nostra. Oggi noi siamo tutti italiani. E l’Italia la deve vincere questa guerra, anche per noi, per l’Europa e per il mondo intero. Che Dio vi benedica!”.
L’Albania ha dato una sonora lezione di umanità a tutta l’Europa, un gesto che è valso più di milioni di parole vuote che siamo costretti ad ascoltare dai big che dovrebbero aiutarci, non salvarci perché sarebbe davvero chiedere troppo. Sono bastati trenta medici, un discorso fatto col cuore in mano, per dimostrare a tutti che non servono gesti eclatanti, ma ne bastano di piccoli e fatti con segno di gratitudine e di soccorso.
C’è una cosa, purtroppo ormai palese, che il coronavirus ha svelato: il fallimento di quelle che fino a gennaio sembravano certezze incrollabili. Superata l’emergenza, l’Italia avrà molto su cui riflettere.