Ore 8:00 del mattino di un giorno qualunque. La luce penetra stancamente dalle finestre della camera della docente di inglese e si posa sui visi stropicciati degli alunni, attraverso il freddo schermo del computer. Gioventù ingabbiata nelle cellette della piattaforma google. Sullo sfondo letti talvolta da rifare o qualche genitore che passa velocemente. La scuola ai tempi del Coronavirus senza privacy o intimità, senza calore né entusiasmo negli occhi.

Qualche alunno ha ancora il pigiama, incurante del contesto ufficiale, altri cambiano in fretta una maglietta: la docente comincia la lezione dopo aver fatto l’appello e alla fine ricorda che, proprio come si fa a scuola, è corretto vestirsi correttamente evitando di farsi trovare a letto. Lezioni online, didattica a distanza, voci a intermittenza che si perdono in linee malfunzionanti, nuove tecniche, nuove regole.

L’emergenza sanitaria ha creato divari generazionali profondi con effetti psicologici devastanti di cui solo in futuro si raccoglieranno gli effetti.

Giovani, menti in fase di evoluzione, costretti a disperdersi dentro uno schermo asettico di realtà distorta, privi di un vero futuro, spesso separati dai loro familiari considerati positivi e in attesa di un tampone. La docente fatica a strappare un sorriso e si sente ridicola dietro argomenti proposti come le vacanze, i luoghi del mondo che vorrebbero visitare, la loro classe ideale, le attività per il fine settimana, gli incontri con gli amici.

Si rende conto che il libro di testo adottato appena un anno fa proprio non va più bene e che bisognerà inserire nuovi argomenti, stimoli più consoni alla nuova realtà per evitare che il sorriso si trasformi in profonda tristezza e rimpianto per quello che non si ha più. Può capitare allora che parlare di salute diventi un argomento appropriato e allora ci si addentra nel lessico specifico che potrebbe tornare utile nei loro studi futuri. Una realtà distopica che si concretizza ed entra a far parte del tessuto di ogni giorno.

Vignetta Giannelli . Corriere.it

Diverse finestre si aprono sul pc tra una lezione e l’altra: Ecco apparire il registro elettronico, nelle diverse versioni apprese negli ultimi anni, o il libro digitale con i suoi file da scaricare e mettere sulla piattaforma, o ancora i file word con gli appunti per la lezione: varie password si affollano e si mescolano nella mente stanca di una insegnante DAD, in una realtà ovattata e baluginante di momentanee impressioni. Finite le lezioni è il momento di programmare con i colleghi. Avrà portato i dolcetti la tua collega di corso, la prof di educazione fisica avrà preparato il tè? E’ brusco e freddo lo scontro con lo schermo e la prof. comprende che la bevanda calda farebbe meglio a prepararsela da sola.

Una scuola senza socialità ha perso quell’apparato pedagogico che favorisce l’apprendimento, è priva di slancio e di affettività, fattori che sostengono docenti e discenti nel difficile e reciproco cammino di crescita.

Una scuola senza contatto umano e senza scambi culturali è una perdita epocale e ci si augura soltanto che l’umanità possa interrogarsi sulla portata delle proprie sconfitte perché un nuovo mondo va costruito hic et nunc o sarà troppo tardi.

È necessario restituire alla scuola la dimensione del sogno per colorare nuovamente le giornate di fantastiche emozioni.

Palermo, 11 novembre 2020