Il cortometraggio del regista Muccino sulla Calabria, commissionato dallo stesso governo regionale per la cifra di un milione e settecentomila euro, ha fatto sorgere numerose critiche da parte di molti calabresi in quanto, nei pochi minuti del video, si è avuta la percezione di assistere più alla  trasposizione di una scena del film “Il padrino”, con tanto di accento siciliano degli attori, invece che ad una decantazione delle virtuosità calabresi.

A poco sono servite  le inquadrature dello splendido mare e delle coltivazioni di agrumi per placare gli animi di chi si aspettava qualcosa di più dal regista romano, anche perché le fugaci immagini riportate  sono state già ampiamente sdoganate negli anni ad opera di altri spot pubblicitari.

Ciò che invece non è altrettanto noto, e di cui magari se ne è sentita la mancanza di qualche cenno in un cortometraggio appositamente creato e lautamente pagato, è ad esempio la secolare storia e le antiche culture che sono rinvenibili in numerosi siti e reperti sparsi sul territorio.

In effetti è stato un peccato vedere Raul Bova costretto a sorridere e lanciare sguardi ammalianti in gran parte dei lunghi minuti del cortometraggio quando invece avrebbe potuto parlare qualche secondo in più per illustrare alla compagna esogena come ad esempio il nome Italia, che distingue il nostro Paese, deriva proprio dalla Calabria, più precisamente dal popolo degli itali e degli ausoni, governati dal Re Italo, così come la città di Reggio Calabria prende il nome dalla prima colonia greca Rhegion, dalla quale si è poi diramata la relativa cultura nel resto del Paese.

Al contempo, non ha convinto affatto l’attore protagonista nelle vesti di cicerone ed in particolare quando ha citato il bergamotto genericamente, come se fosse un frutto rinvenibile  in tutta la Calabria o in altre aree del Mezzogiorno, al pari del fico d’india, mentre in realtà è un frutto prodigioso dagli innumerevoli usi che cresce solo nel territorio reggino, grazie ad un insieme di fattori naturali non replicabili, nonostante  i vari tentativi effettuati in molte altre parti del mondo.

Che sia quindi definitivamente denominato bergamotto di Reggio Calabria invece che continuare ad accomunarlo ai più svariati territori, diversamente  come si intende valorizzare i propri prodotti se non si provvede a tutelarli, in linea con le vigenti certificazioni e le norme di settore?

A parte ciò, è comprensibile che sarebbe stato impossibile rappresentare tutti i luoghi e le peculiarità, storiche, culturali, agroalimentari ed enogastronomiche del territorio calabrese, ma forse è apparso inappropriato che tra tutti i riferimenti che si sarebbero potuti utilizzare in modo simbolico alla fine ne è venuta fuori la percezione di un territorio, si ancestrale, ma pur sempre disagiato, dove il mezzo più agevole per spostarsi è il fuoristrada o l’asino.

Con buona pace per tutti gli imprenditori che hanno investito nel comparto turistico e delle strutture ricettive, i quali magari si aspettavano delle immagini più moderne, sfavillanti e mondane.

Il regista infatti ha spiegato che, dietro commissione della compianta Jole Santelli, ha voluto creare uno scenario fondamentalmente romantico, che fosse d’ispirazione per chi desidera immedesimarsi nella coppia di attori protagonisti.

Vi è da chiedersi a tal punto se questo sia esattamente quello a cui oggi può ambire il popolo calabrese.

D’altra parte non è un mistero che le infrastrutture, i servizi di trasporto e la viabilità in Calabria siano molto meno efficienti rispetto al resto del Paese ed in particolare dell’area centro-settentrionale.

E se nelle regioni nordiche i protagonisti del cortometraggio avrebbero girato con smartphone e supercar per le vie mondane, tra riviere gettonate, alberghi e residence lussuosi, in Calabria è apparso forse più pertinente inscenare una rincasata al paesello d’origine con a braccetto la nuova fidanzata.

Non è un’alterazione della realtà il fatto che migliaia di giovani, e meno giovani, lascino ogni anno il Sud Italia per andare a crearsi un futuro in territori dove vengono offerte maggiori opportunità e dove il merito trova riconoscimento, lasciando ai genitori solo la speranza di rivederli in occasione di qualche festività oppure nel periodo feriale.

Ma se è vero come è vero che la Calabria è una terra meravigliosa dalle enormi potenzialità quali sono le cause che ne impediscono lo sviluppo economico e sociale nonostante i vari spot pubblicitari e gli investimenti pubblici effettuati negli anni?

Perché ad esempio è così difficile creare collegamenti adeguati, arrivare in aereo a Reggio Calabria o spostarsi in auto o con altro mezzo sulla fascia ionica della regione? Perché è così arduo costituire e mantenere un’impresa o svolgere un’attività da dipendente nel rispetto delle norme contrattuali?

Dopo decenni forse sarebbe il momento di capire che tutto ciò non può portarcelo il turista ma, al contrario, dobbiamo crearlo ed offrirlo a noi stessi e agli avventori.

E se di fronte alla classe dirigente e politica che, da destra a sinistra, non ha prodotto e non produce alcun beneficio collettivo, che delibera vitalizi ad personam, che invece di tutelare il proprio territorio vende il futuro dei propri concittadini ai capi partito esogeni e fa affari con i capi bastoni locali in cambio di un incarico, che produce commissariamenti in ogni settore pubblico, che balla, canta e fa trenini mentre lascia vivere nel degrado i concittadini chiamati a pagare i tributi più alti d’Italia, se di fronte a tutto ciò non sentiamo calpestata la nostra dignità, non sentiamo la necessità di ribellarci, di cambiare metodo di scelta dei nostri amministratori, allora la colpa del mancato sviluppo economico e sociale della Calabria è da rinvenire proprio nella maggior parte degli stessi calabresi, in quelle persone che votano ed applaudono i propri carnefici e che finiscono persino con intitolare ad essi strade, piazze ed edifici.

In conclusione, se quanto sopraindicato rappresenta il comportamento di una parte rilevante di calabresi rimasti a vivere in questa meravigliosa e bistrattata  terra, allora non è difficile intuire che ci si può prendere tutte le lauree ed i titoli immaginabili, ci si può appellare e premiare come meglio si crede, ci si può vestire alla moda e girare in auto lussuose ma si finirà sempre con l’essere rappresentati come coloni con l’asino e la coppola.

 

Il presidente del MITI Unione del Sud, Fabio Putortì