Si trasmette, nella sua stesura integrale, l’intervento svolto dal presidente del Gruppo di Forza Italia in Consiglio Claudio Parente sul tema del ‘Regionalismo differenziato’ all’ordine del giorno della seduta d’Aula tutt’ora in corso:  

“Mi accingo ad illustrare il pensiero del nostro Gruppo su un argomento vitale per il futuro della nostra Regione, materia rispetto a cui ci approcciamo, forse, con ritardo considerato che fra qualche giorno alcune Regioni del nord formalizzeranno l’iter previsto per ottenere le autonomie ex art.116 – terzo comma, accelerando così i tempi di una questione importante per il Paese che, ritengo, andrebbe portata all’attenzione di tutti, dibattuta ed analizzata ai diversi livelli prima di definirla in termini così stretti e soprattutto poco conosciuti come sta avvenendo per le tre Regioni del Nord (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) che stanno elaborando in modo segreto i loro accordi nelle stanze del Governo e di cui il Parlamento dovrà poi prenderne solo atto.

Sorvolo sulla genesi storica che ha portato alle marcate asimmetrie tra Regioni del nord e del sud, meglio conosciuta come ‘Questione meridionale’ per non dover partire dall’unità d’Italia e per non fare un processo al passato sulle annose ed accertate questioni che hanno fortemente penalizzato il Sud che non solo non ha avuto mai giustizia ma è diventato un sinonimo di assistenzialismo d’accatto.

Un argomento, questo, che mi coinvolge particolarmente essendo un appassionato della Storia del Mezzogiorno tanto da aver creato qualche anno fa anche un Movimento politico culturale denominato volutamente Officine del Sud e che si interessa in modo particolare delle tematiche che interessano il Mezzogiorno d’Italia.

Oggi però bisogna essere concreti e risoluti per evitare che il tema delle autonomie non porti ad una secessione mascherata, perché, per chi ancora non lo avesse capito, le ragioni di fondo che stanno dietro a quello che viene definito regionalismo differenziato sono solo di tipo finanziario per cui le regioni più povere rischiano di diventare sempre più povere a discapito delle regioni più ricche soprattutto alla luce delle motivazioni che la Ministra Stefani, in una recentissima dichiarazione (rispondendo ad un question time) ha addotto e cioè che non ci sarà nessun tipo di problematica e di effetto svantaggioso nei confronti delle altre regioni con il riconoscimento dell’autonomia alle Regioni che hanno già fatto richiesta, perché:

  1. L’attribuzione delle competenze verrà fatta sulla base di quello che è il costo storico (cioè quanto attualmente lo Stato sostiene per il funzionamento delle regioni per le materie di cui si chiede l’autonomia). Già di per sé per noi sarebbe una situazione svantaggiosa perché solo per il comparto sanità, per come sono i riparti dal 2011, la Calabria parte con un handicap di 280 milioni annui rispetto alle regioni del nord per i criteri di riparto capestro definiti all’epoca dal governo Monti. Cosi come, ad oggi, le risorse ordinarie della P.A. centrale destinate al Mezzogiorno sono di poco superiori al 28% a fronte del 34.4% della popolazione mentre al Centro nord sono del 71.6% contro il 65.6% della popolazione. Non sappiamo perché, nonostante esista una legge, non sia ancora avvenuto questo riequilibrio territoriale.
  2. Vi sarà poi un momento di superamento (dell’attribuzione del costo storico) che arriverà appena definiti i costi standard (si stima entro cinque anni) e i fabbisogni standard che si applicheranno su tutto il territorio nazionale. Anche questo è uno specchietto per le allodole perché i costi standard ed i fabbisogni standard sono quasi tutti già definiti in materia sanitaria ma non negli altri settori, in attuazione della legge 42 del federalismo fiscale (legge Calderoli). Per fare un esempio, in sanità già si applicano alle gare di appalto tramite la Consip ed il Mercato elettronico della Pa e si hanno gli stessi costi a Catanzaro come a Milano. Cosi come i fabbisogni standard in sanità sono già definiti dai livelli essenziali di assistenza (LEA) ma questo vuol dire poco perché, per arrivare agli standard delle regioni del nord, considerato i gap strutturali e di personale del comparto sanitario ci vorranno decenni. Quanti anni ancora poi ci vorranno per definire i livelli essenziali (non tanto di assistenza perché ormai chiari) delle prestazioni sociali e civili (i cosiddetti Lep) da garantire in modo omogeneo a tutti i cittadini italiani per come previsto dall’art. 119 Costituzione, in altre parole definire i valori di una prestazione affinché possa considerarsi resa nel rispetto di eguaglianza e di efficacia su tutto il territorio nazionale. E quindi settori come l’istruzione e la sanità saranno messi nelle condizioni di poter competere con le Regioni che partono con almeno 20 anni di differenza in termini di requisiti strutturali, organizzativi e professionali rispetto alle Regioni del sud. Cosa cambia pagare la siringa allo stesso costo se poi hai ospedali fatiscenti, dove non funzionano nemmeno gli ascensori, non hai assistenza territoriale, non hai specialisti così come per l’istruzione che rischierebbe di essere ancor di più penalizzata, se dimensionata agli attuali livelli di prestazioni, mentre il nord potrebbe applicare norme differenti in materia di istruzione e formazione aumentando così il divario di preparazione che già oggi si riscontra nella comparazione tra gli atenei del nord e quelli del sud.

Noi chiediamo, pertanto, che venga attuata la Costituzione anche per come mutata nel 2001, con la modifica del titolo V, stabilendo finalmente dopo 18 anni i livelli essenziali delle prestazioni, determinando la perequazione al 100% e non al 45,8% e non basandola sulla spesa storica come è stato fatto, il tutto a gran discapito dei territori a minor gettito fiscale e quindi assegnando zero fabbisogni dove ci sono zero servizi. Quindi riteniamo che il tema fondamentale della questione che stiamo discutendo è dato dai criteri utilizzati per calcolare i fabbisogni ed assegnare le risorse. Quali saranno? Nel silenzio più assoluto dell’attuale governo possiamo rifarci all’accordo preliminare del febbraio 2018 tra regione Veneto e Governo Gentiloni nel quale è stato previsto che, per i fabbisogni standard, si deve far riferimento, oltre alla popolazione, al ‘gettito dei tributi maturato nel territorio regionale’.

Ciò significa che per scuola, sanità e per le altre materie per cui si chiede l’autonomia il fabbisogno sia maggiore dove si produce più Pil. Come dire che un ricco abbia più bisogno d’istruzione ed assistenza rispetto ad un povero, che una scuola di Milano, a parità di studenti, abbia più fondi di una scuola di Catanzaro, che un cittadino di Venezia abbia più tutela sanitaria rispetto ad uno di Reggio Calabria.

Quindi diritti diversi tra cittadini del sud e quelli del nord dove le regioni si trasformerebbero in Regioni-Stato cristallizzando diritti di cittadinanza diversi da quelli di altre aree del paese introducendo cosi il concetto di ‘Stato Federale’ ideologia cara a qualche partito della maggioranza che vorrebbe la trasformazione della Repubblica Italiana che invece è una ed indivisibile. D’altronde non ne fanno nemmeno mistero. Qualche giorno fa il presidente Zaia ha dichiarato che il regionalismo differenziato ‘vale come una riforma istituzionale’ aggiungendo quasi come un avvertimento che su tale riforma il Veneto è indisponibile ad una misura – sue testuale parole: ‘annacquata’. Ma se allora si deve intendere come una riforma costituzionale – anche se io la definirei come un super o meglio un titolo V rafforzato, quindi un déjà-vu della riproposizione dell’errore storico del 2001 di confondere il decentramento amministrativo con il federalismo – come si può accettare che una riforma simile sia decisa da uno, due ministri e tre Regioni? Come si può pensare che una riforma del genere sia fatta senza le cautele che la stessa Costituzione impone?

Le nostre preoccupazioni poi sono aumentate quando abbiamo letto, qualche giorno fa, che il ministro della sanità Grillo – che noi speravamo fosse un baluardo a difesa dell’eguaglianza di accesso ai servizi sanitari, per come aveva fatto intravedere in alcune sue dichiarazioni – si è incontrata con il Ministro degli Affari regionali Stefani e ha detto che ‘sulle proposte di legge sul regionalismo differenziato avrebbe opposto solo qualche appunto sul testo ma solo per metterlo al riparo da eventuali ricorsi alla Corte Costituzionale’ facendo quindi intendere un atteggiamento politico da parte dei 5 Stelle sostanzialmente favorevole al provvedimento come a dire che i paladini del sud, quelli che hanno fatto incetta di voti al sud con promesse di ogni tipo, si stanno spaventando dalle minacce della Lega e quindi sono pronti a calare le brache.

Da quanto è spifferato, avremmo voluto chiedere allora alla ministra Grillo:

  1. Cosa significa ad esempio che le tre regioni che chiedono il regionalismo differenziato possono ‘superare il blocco delle assunzioni’ e le altre cosa faranno?
  2. Cosa vuol dire ‘concedere maggiori spazi di manovra nell’ambito dell’organizzazione sanitaria?’ Cioè quali possibilità e quali limiti? Senza venir meno ad un dovere di universalità?
  3. Cosa vuol dire dare al Veneto 80 milioni di euro assicurandogli l’8% del miliardo di euro dedicato al fondo nazionale per l’edilizia sanitaria?
  4. I contratti resteranno nazionali?
  5. Le norme sulla formazione e sui profili professionali resteranno nazionali?
  6. Il SSN resta un SSN o una somma di servizi sanitari regionali?

Quando un cittadino del sud si ammala come farà a curarsi anche se gode del reddito di cittadinanza?

Allora dico prepariamoci ad una battaglia prima di tutto di civiltà.

Noi non siamo per l’assistenzialismo fine a se stesso, anzi siamo per il più ampio decentramento amministrativo dei servizi che dipendono dallo Stato, riconoscendo il valore delle autonomie locali a condizione però che ci sia l’unità giuridica e l’unità economica e quindi la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono prescindere dai confini territoriali o dai governi locali.

Detto questo, la Calabria potrebbe accettare la sfida promuovendo l’autonomia differenziata per alcune materie dove si ritiene di poter aumentare l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza però intaccare il requisito di solidarietà nazionale, concetto che apre il discorso sulla perequazione, al fine di poter competere poi con le altre Regioni. Quante dovrebbero essere queste risorse e chi e come lo stabilisce? Qui si apre un altro tema in materia di residuo fiscale in quanto le Regioni del nord si calcolano il saldo tra entrate e spese pubbliche omettendo di includere in questa voce la componente di spesa più rilevante negli ultimi 20 anni e cioè la quota di interessi da corrispondere ai titolari del debito pubblico. Questa è una posta contabile che rappresenta una spesa per lo Stato per cui il saldo da considerare deve tener conto di questa voce che porterebbe la richiesta della Lombardia da 40 miliardi a circa 13 miliardi, così come per il Veneto e l’Emilia Romagna che hanno chiesto sui 13 miliardi, il residuo fiscale sarebbe di circa 2 miliardi (dati rapporto SVIMEZ 2018).

Non vorremmo che alla fine le Regioni del sud pagassero anche la parte di interessi del debito pubblico delle Regioni del nord mentre loro si incassano la quota fiscale che producono nelle loro regioni.

In altre parole noi siamo perché sia mantenuta l’unità giuridica ed economica attraverso il conferimento delle relative risorse finanziarie e quindi siamo per una autonomia rafforzata più che differenziata che per essere attuata non può prescindere da alcune clausole preliminari da inserire nella legge da presentare alle Camere per come dirò dopo.

In particolare:

  1. stabilire una clausola di supremazia dello Stato in materie come istruzione, energia, infrastrutture (anche per evitare che qualche Regione blocchi opere strategiche di interesse nazionale che attraversino il rispettivo territorio) e trasporti oppure riservare al Sud una percentuale dei fondi nazionali (Fondo per la Coesione) con verifica puntuale dell’efficienza nell’amministrare i finanziamenti per realizzare le opere ritenute strategiche.
  2. determinare i criteri per definire l’entità della perequazione finalizzata a recuperare il divario che esiste tra Nord e Sud, ed i tempi di assegnazione, per le materie di cui si chiede l’autonomia.
  3. prevedere un periodo di sperimentazione pluriennale dell’autonomia richiesta (almeno 10 anni) per una valutazione ex post sulla base della quale definire l’attribuzione in via permanente o la retrocessione o una rimodulazione.

Queste clausole e criteri ci permetterebbero di fare una battaglia di civiltà ed accettare la sfida del nuovo federalismo, perché dobbiamo cancellare l’immagine del sud che si lamenta, inconcludente, clientelare e che non sa amministrare. Dobbiamo dimostrare di essere una classe dirigente capace di risollevare le sorti della nostra regione, e quindi chiedere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia ex art.116, terzo comma della Costituzione, per:

  1. Tutela paesaggistica e dei beni culturali (il paesaggio è una eccellenza della nostra regione da gestire in modo autonomo così come la valorizzazione del patrimonio culturale, oggi affidato in coabitazione con lo Stato e la Sovraintendenza).
  2. Tutela ambientale (al fine di impostare politiche e misure strutturali adeguate al territorio calabrese nonché per semplificare le procedure in materia ambientale per rendere gli strumenti di intervento più efficaci).
  3. Protezione civile, prevenzione sismica, rigenerazione urbana (trattandosi di una regione ad alto rischio sismico l’attribuzione delle tre materie permetterebbe la pianificazione, la formazione e l’acquisizione di competenze multidisciplinari per gli interventi di emergenza e di ripristino post emergenza).
  4. Tutela della salute – Dopo aver ottenuto le risorse necessarie per effettuare gli interventi diretti ad adeguare il patrimonio edilizio e tecnologico sanitario e socio-sanitario ed aver ottenuto il fondo di riparto nazionale sulla base dei criteri utilizzati nelle altre regioni del nord, l’autonomia amministrativa potrebbe rendere più flessibile la capacità di gestione dei vari capitoli di spesa, non prevedendo vincoli specifici sulle macro voci, così da porre in essere politiche attive di tutela della salute dei propri cittadini nelle forme ritenute più efficaci a seconda della morbilità delle patologie del territorio.
  5. Turismo
  6. Agricoltura
  7. Rapporti con l’Unione Europea (partecipazione alla formazione e all’attuazione delle decisioni dell’Unione Europea a seguito delle ulteriori competenze a favore della regione)

Pertanto noi proponiamo una iniziativa legislativa del Consiglio regionale, presentata direttamente alle Camere, sulla base del disposto dell’art. 121, secondo comma, assumendoci in questo modo la responsabilità di scelte che cambieranno, speriamo in meglio, il futuro delle prossime generazioni. Su questo credo, come dicevo prima, ci dovremmo misurare come classe dirigente, per evitare di raccogliere le briciole di quello che rimarrà dalla spartizione tra le varie Regioni”.