Era una gran brava persona mastr’Onofrio, angeli e freschi riposi, ed era pure un bravo mastro ma, accidenti a lui, era più brutto della malanova e le persone gli giravano al largo e al largo gli girava anche la fortuna, che pure dovrebbe essere cieca. Cieca, invece, era stata soltanto comare Saruzza che se l’era preso per marito e ancora non si capiva con quale stomaco, fora gabbu. I maligni dicevano perché era sola al mondo e senza una lira di dote; lei diceva perché era buono come un pezzo di pane e la portava in palma di mano.

E lo ripeteva pure adesso, piangendo e strappandosi i capelli, mentre ne vegliava la salma e imprecava alla morte. Quella morte, lei cieca sì, che se l’era portato via ora che poteva godere un po’ di bene con la vigna che gli aveva lasciato sua zia la vedova. Ma alla Natura, si sa, ogni tanto piace prendersi di questi spassi.

Fino alla sera prima stava bene e aveva giocato a carte con gli amici. La mattina si era sentito improvvisamente male. La moglie lo scongiurò di starsene a casa e chiamare il medico. Lui, invece, testardo, volle andare alla vigna; e lì rimase.

Lo trovarono la sera, fora d’ognunu, aggrappato alla pergola rigido come un baccalà che non aveva avuto il tempo nemmeno di dire “Cristo aiutami!”. L’aveva preso toccu o forse era stato il malocchio dei vicini ché c’è sempre qualcuno che preferisce prendersi una scopettata lui piuttosto che vedere il prossimo toccato dalla buona ventura. Lo portarono al paese su una scala e a comare Rosa, che li incontrò per strada, un altro po’ le prendeva cosa quanto brutto era. E ancor più brutto era ora dentro la bara con le candele a lato che gli facevano guizzare ombre sinistre sul viso stravolto. Con gli occhiacci bovini che gli erano rimasti spalancati, le narici dilatate la bocca semiaperta che lasciava vedere quei dentacci larghi che tra l’uno e l’altro ci passava un palo di vigna, faceva una tale impressione che nessuno si azzardava a guardarlo. Anche la sorella, povera cristiana, stava girata dall’altra parte per paura di sognarselo la notte.

Soltanto lei, comare Saruzza, non si stancava di guardarlo. E quando finalmente inchiodarono il coperchio per portarselo via, mentre tutti tiravano un sospiro di sollievo, lei, schiacciata dal pensiero di non vederlo mai più, gli urlò dietro: Mi si li godinu l’angeli ’n cielu li to’ grandi bellizzi!

Francesco Borrello

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