E’ San Floro, in provincia di Catanzaro, il paese delle mille suggestioni. Un ambiente collinare quasi magico. Incantato. Dove la natura è un intreccio di eclettico belvedere sulla vallata del lento fiume Usito e la vasta pianura lametina. Si estende fino alle alture silane; s’immerge, ad est, nel golfo di Skillecion. E’ San Floro, l’antico borgo medievale, dove gli alberi diventano violini al tocco delle brezze che arrivano dal mare e al soffio dei venti gelidi di tramontana; e dove volteggiano le api danze di millefiori. E’ il luogo dei mulini, della seta e del miele; del maniero e delle tracce magnogreche; del rito penitenziale, che si ripete dal 1764, quando la peste imperversava in tutto il regno di Napoli. L’andare per insoliti vicoli e slabbri, è un abbandonarsi al fascino di antico labirinto, tra superbi portali e l’umido odore di muschio; tra i profumi di acacie sempre in fiore e lo scricchiolio dei telai, che tessono tele di seta e di ginestra e scampoli di storia.
San Floro, è toponimo del suo Santo Protettore. Inviso, rinnegato, amato, venerato. “San Floro de’ cocci”, che nella leggenda e nelle vicissitudini umane, ha vergato il destino del piccolo borgo e che accomuna e rinsalda i legami della sua comunità. Come nell’evento che ha acceso le luci a Palazzo Pugliese, antica dimora gentilizia; uno dei tanti dell’alta borghesia sanflorese, simbolo di un mondo ottocentesco, dominato dalle regole delle classi. Un magnifico edificio ben conservato e riadattato alle esigenze del tempo attuale. Il salone di rappresentanza ha fatto il plenum: qui si sono incontrati cittadini, autorità, esperti, per ripercorrere spaccati di storia, sfatando leggende e raccontando verità. Mentre fuori, il paese è animato dal fervore della festa, laica e devozionale. C’è qualcosa da conoscere, da sapere di più sul Cristiano del vicino Oriente, vissuto in Età Imperiale e sottoposto al martirio durante la persecuzione di Adriano. Il suo culto è stato portato dai monaci basiliani. Era il periodo in cui sorsero monasteri e conventi: ne fanno memoria, ruderi e pietre. Schegge di storia.
Ne ha parlato nella sua prolusione, Ernesto Lamanna, studioso di storia ed esperto d’arte. Una relazione, la sua, d’impianto pluridisciplinare, con approfondimenti storici, scientifici, antropologici, artistici, religiosi, correlati al luogo, al Santo, all’opera statuaria che artisticamente lo rappresenta, all’Autore. L’effigie è custodita nella Chiesa Matrice del paese.
Su questa storia, molte leggende, traversie e favole sono state imbastite, raccontate e tramandate, oralmente e per iscritto; tutte contornate da inverosimili intarsi di fertili immaginazioni. Il puntiglioso ricercatore Lamanna le ha sfogliate ad una ad una, ritracciando i sentieri di luoghi e rivisitando i vissuti di persone. Anche rintracciando documenti d’archivio. Anche scoprendo nuove conoscenze. Sicchè, le leggende si dissolvono; cedono il passo alle collocazioni inconfutabili di verità, nei segni della fede e dell’arte. Cui, per lo studioso Lamanna, è stato congenialmente approdare.
Floro, prima di essere martire, era stato avviato, assieme al fratello Lauro, allo studio e alla pratica della scultura. Forma d’arte scelta da un nobile cittadino sanflorese, per rendere omaggio e devozione al Santo, protettore del paese. Ma è pur vero che – afferma Lamanna – correva il tempo in cui la committenza di un’opera d’arte rappresentava l’ordine di “facoltosità” di una nobile famiglia, accrescendone prestigio e potenza. Ed è certo, il documento recuperato in un’antica cartella di famiglia, rimasta per anni riposta in un cassetto. Si tratta di un “verbale” di consegna della statua di San Floro da parte di “Pietro Drosi, scultore di Satriano”, al committente, “Signor Don Salvatore Olivieri fu Angelo domiciliato nel Comune di San Floro”. La dichiarazione, redatta il 31 luglio 1869, esplicita la somma corrisposta: “Lire centosettanta (170,00)”, “stabilita per la scultura della statua di San Floro a figura intera”.
E’ seguito l’intervento di Francesca La Porta, di Roma, storica dell’Arte. Contributo tutto imperniato sugli aspetti stilistici e compositivi delle opere di Pietro Drosi, figura presente nel panorama artistico calabrese ed oltre. Componente della bottega Drosi, per tre generazioni attiva e fiorente, nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento a Satriano. La Porta si lascia coinvolgere in alcuni aneddoti, che delineano la personalità ed il carattere degli scultori satrianesi.
Per “i riferimenti di fede” e di culto, è don Oraldo Paleologo, che, con chiarezza espositiva, fa luce sulle “erranze” del simulacro, offrendo, soprattutto, significativi spunti di riflessione, dimensione dello spirito che non trova spazio nel quotidiano vivere dell’uomo moderno.
Il vespero è passato ormai da un pezzo; ma le campane della festa di San Floro riecheggiano nell’aria del piccolo borgo.