Assieme a Giovanni Falcone, collega e amico fino alla morte, Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Il 27 giugno 1962,all’età di ventidue anni,Borsellino si laureò con 110 e lode con una tesi su «Il fine dell’azione delittuosa» con relatore il professor Giovanni Musotto. Durante questo periodo la farmacia fu data in gestione per un affitto bassissimo, 120 000 lire al mese e la famiglia Borsellino fu costretta a gravi rinunce e sacrifici.
L’ingresso nella magistratura
Nel 1975 Borsellino venne trasferito presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo. Intanto tra Borsellino e Rocco Chinnici,nuovo capo dell’Ufficio istruzione,si stabilì un rapporto,più tardi descritto dalla sorella Rita Borsellino e da Caterina Chinnici,figlia del capo dell’Ufficio,come di “adozione” non soltanto professionale. Il 4 maggio 1980 il capitano Basile venne assassinato e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino. Chinnici chiamò Borsellino a fare parte del pool insieme con Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Per ragioni di sicurezza, nell’estate 1985 Falcone e Borsellino furono trasferiti insieme con le loro famiglie nella foresteria del carcere dell’Asinara per scrivere l’ordinanza-sentenza di 8000 pagine che rinviava a giudizio 475 indagati in base alle indagini del pool. Il 19 dicembre 1986 Borsellino chiese e ottenne di essere nominato Procuratore della Repubblica a Marsala.  «Quando Giovanni Falcone solo, per continuare il suo lavoro, propose la sua aspirazione a succedere ad Antonino Caponnetto, il Consiglio superiore della magistratura, con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. »  Il 31 luglio il CSM convocò Borsellino, il quale rinnovò accuse e perplessità. Cominciava in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porvi a capo, nel frattempo Falcone fu chiamato a Roma per assumere il comando della direzione affari penali e da lì premeva per l’istituzione della Superprocura.  Nel settembre del 1991, Cosa nostra aveva già abbozzato progetti per l’uccisione di Borsellino.  Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e nel marzo 1992 vi ritornò come procuratore aggiunto, insieme con il sostituto procuratore Antonio Ingroia. Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1992, l’allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica, che ottenne in quello scrutinio 47 preferenze .
Il 23 maggio 1992, in un attentato dinamitardo sull’autostrada A29 all’altezza di Capaci, persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
La penultima intervista
«All’inizio degli anni settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa.  Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali.  Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. In questa sua penultima intervista Paolo Borsellino parlò anche dei legami tra cosa nostra e l’ambiente industriale milanese e del Nord Italia in generale, facendo riferimento, tra le altre cose, a indagini in corso sui rapporti tra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. »
Le dichiarazioni e l’ultima intervista
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista MicroMega, così come in un’intervista televisiva con Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di “condannato a morte”.
« Paolo Borsellino ai giornalisti Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo. » Paolo Guzzanti aveva sostenuto che l’intervista trasmessa da Rai News 24 era stata manipolata, i giornalisti della rete gli fecero causa, ma fu assolto. Nella sentenza Dell’Utri fu poi riportato il brano dell’intervista relativo all’uso del termine “cavalli” per indicare la droga e sulle precedenti condanne di Mangano, in una versione ancora differente rispetto alle due già diffuse, trascritta dal nastro originale. Nella stessa sentenza era poi riportata l’intercettazione della telefonata intercorsa tra Mangano e Dell’Utri , relativo al blitz di San Valentino, in cui veniva citato un “cavallo”, a cui aveva fatto riferimento il giornalista nelle domande dell’intervista a Borsellino.
«È opportuno chiarire subito che questa conversazione, pur avendo ad oggetto il riferimento a “cavalli”, termine criptico usato dal Mangano nelle conversazioni telefoniche per riferirsi agli stupefacenti che trafficava, non presenta un significato chiaramente afferente ai traffici illeciti nei quali il Mangano era in quel periodo coinvolto e costituisce il solo contatto evidenziato, nel corso di quelle indagini, tra Marcello Dell’Utri e i diversi personaggi all’attenzione degli investigatori».