La dislessia, fino a poco tempo fa, non era intesa come un disturbo specifico dell’apprendimento, quale in effetti è, ma la si confondeva con la svogliatezza e la disattenzione del bambino, il quale, conseguentemente, non riceveva le dovute attenzioni e il giusto ausilio né dalla famiglia, né dalla scuola.                                       

Ad oggi, le cose sono positivamente cambiate, infatti, i disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) sono stati riconosciuti dalla legge n. 170 del 2010, le cui  norme hanno previsto un percorso di apprendimento mirato, grazie al quale il docente può  lavorare con l’alunno in classe, insieme agli altri compagni, così da dare al bambino l’opportunità di prendere atto delle proprie capacità, con il diritto di essere riconosciuto come bambino speciale; l’insegnante svolge lo stesso programma per tutti, solo con qualche facilitazione in più per il bambino speciale. Con l’inclusione, si dà la possibilità al bambino di essere accettato dagli altri compagni, di essere voluto bene e l’amore crea una barriera difensiva, magari, contro il bullismo.                    

Perché? Perché nel bambino dislessico si possono presentare fattori emotivo-relazionali, infatti, potrebbe manifestare l’incapacità di gestire o di reagire agli insuccessi con un conseguente abbassamento dell’autostima, che li portano, oltre ad isolarsi ed a non riuscire a socializzare con i compagni e gli insegnanti, ad essere timidi e sensibili, per questo più facilmente soggetti alle prese in giro dei bulli.

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono manifestarsi anche in bambini con quoziente intellettivo nella norma, riguardano quelle difficoltà legate alle capacità scolastiche: la dislessia, di origine neurobiologica, riguarda la lettura ed il linguaggio, il bambino legge male ed è esitante, legge sillabando e con lunghe pause. Si parla di dislessia lieve, quando il bambino dislessico fa una lettura lenta e difficoltosa ma comprende il testo; la dislessia grave si presenta quando vi è lettura lenta e stentata e mancata comprensione del testo, poiché il bambino spende il proprio impegno ed energie per portare a compimento la lettura, quindi, distogliendo l’attenzione dalla comprensione del testo.

La disgrafia riguarda invece la scrittura, quando il bambino ha scarse competenze ortografiche e difficoltà a tradurre il suono delle parole nei simboli grafici, allora si parla di disortografia, associata alla disgrafia: il disturbo grafo-motorio, ossia, l’incapacità di scrivere le lettere dell’alfabeto e i numeri, quindi, realizzare i tratti grafici. Elementi della disgrafia sono la scrittura irregolare, l’impugnatura scorretta, le dimensioni irregolari delle lettere, la mancata gestione degli spazi, poiché non si rispettano le righe ed i margini del foglio. La discalculia il calcolo, infatti, un disturbo della letto-scrittura può comportare difficoltà in matematica, si ha difficoltà a trascrivere i numeri, a memorizzare le tabelline, a riconoscere le figure geometriche etc.

E’ bene dire che il trattamento riabilitativo c’è e può riuscire se si individuano e si tengono presenti sin da subito la gravità del disturbo, la disponibilità del bambino a farsi aiutare e capire se e quanto il bambino è consapevole della propria difficoltà: la didattica individuale, che consiste nelle attività di recupero, svolte con il bambino con DSA, al fine di potenziare le proprie abilità. Questo piano didattico personalizzato serve a potenziare le capacità del bambino ed a prevenire un disagio psicologico.

Un ruolo di particolare importanza ce l’ha la scuola dell’infanzia e la scuola primaria, durante le quali, se viene riconosciuto tempestivamente il disturbo, si può intervenire per migliorare la difficoltà, magari, permettendo una carriera scolastica futura più serena ed anche un rapporto più equilibrato con la quotidianità sociale.