Non c’è messaggio di leader, politico o spirituale, che oggi non “legga” le cose del mondo dalla prospettiva della pandemia. La Pasqua che le Chiese ortodosse festeggiano domani parla della Risurrezione a un’umanità che, tra ansia e lutti, cerca orizzonti più ampi del tunnel dove si trova da mesi. Non si sottrae da questo dovere il Patriarca ecumenico che da Costantinopoli sostiene con chiarezza: “È difficile restare umani senza la speranza dell’eternità. Questa speranza vive nel cuore di tutti i medici, infermieri, volontari, donatori e di tutti coloro che prestano assistenza generosamente ai fratelli che soffrono con spirito di sacrificio, abnegazione e amore. Nel mezzo di questa crisi indicibile, essi profumano di resurrezione e speranza”. Il coronavirus, osserva Bartolomeo I, “ha dimostrato quanto fragile sia l’uomo, quanto facilmente lo domini la paura e la disperazione, quanto impotenti si rivelino le sue conoscenze e la sua fiducia di sé, quanto infondata sia l’opinione che la morte costituisca un evento alla fine della vita e che l’oblio o l’allontanamento della morte sia il suo giusto modo di affrontarla”. Tuttavia, afferma, “apparteniamo a Cristo” e “la presenza del dolore e della morte, per quanto sia evidente, non costituisce la realtà ultima”.
Il Patriarca di Costantinopoli e il Patriarca di Mosca scrivono i loro auspici per la Solennità del 19 aprile guardando alla pandemia da coronavirus: siamo fragili ma apparteniamo a Cristo, nessuna restrizione deve spezzare la nostra unità