Moderata dal segretario del circolo del PD di Catona e referente dell’Associazione Primavera Calabria Antonio Costantino, s’è svolta nei giorni scorsi allo Sport Village un’iniziativa pubblica sul tema Autonomia differenziata – Una riforma contro i cittadini del Sud.
A relazionare, il deputato dèm Pietro Navarra, il presidente del Consiglio regionale Nicola Irto e il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà.
L’ex Rettore dell’Università di Messina ha osservato che le tre Regioni che hanno visto approvata in sede referendaria l’autonomia differenziata “pesano” complessivamente 35 miliardi di euro di bilanci annui e vorrebbero trattenere sul proprio territorio la gran parte del gettito tributario: «Malgrado ciò che affermano i Presidenti delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna parliamo di un provvedimento in danno a tutto il Mezzogiorno», è stato il commento dell’on. Navarra che, ricordando come si sia tuttora solo alle pre-intese, ha individuato il regionalismo differenziato come «uno strumento per attuare l’esigenza di trasferire le poche risorse esistenti da alcuni territori ad altri. Il problema principale, però, è che quest’orizzonte pericolosissimo non è mai stato trattato come un problema nazionale, mentre lo stesso PD non può pensare di non avere una linea su un tema del genere. E invece non ce l’ha». Su questo fronte, però, secondo il parlamentare il Partito democratico sta provando a recuperare terreno, anche grazie al documento licenziato di recente dalla Direzione nazionale.
E Pietro Navarra ha pure elencato una serie di «bugie» su cui s’incardina l’epopea del regionalismo differenziato, dalla falsa idea che il voto referendario l’abbia consacrato con la volontà popolare quando a esprimersi favorevolmente, a conti fatti, è stato solo il 45% dei lombardo-veneti e dunque il 10% dell’elettorato italiano, l’affermazione marchiana secondo la quale fin qui i cittadini settentrionali sarebbero stati penalizzati in termini di trasferimenti, quando la spesa pubblica pro-capite è più alta di oltre duemila euro per i cittadini del Nord Italia rispetto a quella per ciascun cittadino del Sud.
Nell’intervento del presidente Irto è riecheggiata un’inquietante sensazione: «I grandi giornali, i grandi mezzi di comunicazione di massa vogliono “tenere bassa” la questione. E invece occorre avere il coraggio di riconoscere che un’intera popolazione, quella di tutte le Regioni del Mezzogiorno, ne verrebbe fortemente penalizzata. Su questo tema – ha affermato tra l’altro Nicola Irto – il Partito democratico è in forte ritardo: invece come partito e come classe dirigente che intende spiegare ai cittadini di cosa si tratta noi dovremmo avere la capacità di fornire un racconto chiaro, che non consenta alle Regioni settentrionali di “buttarla in burocratese”. La verità è che l’autonomia differenziata andrebbe a incidere pesantemente sulle Università delle nostre Regioni, sulle scuole, sulle imprese, sull’artigianato: non si tratta di una mera disputa sull’acquisizione o meno di determinate competenze in capo. Poi però sconcerta anche il metodo, che potremmo definire “B2B”: il singolo Ente regionale ha chiesto più competenze ed è andato a contrattarsele individualmente col Governo centrale, senza un quadro complessivo nazionale».
Anche per questa ragione, ad avviso del presidente del Consiglio regionale della Calabria occorre trattare la delicata questione «non come un mero fatto di una Regione o del solo Mezzogiorno, ma come un tema di stretto interesse nazionale, perché ne va dell’unità nazionale e dell’omogeneità dei diritti per tutti i cittadini di questo Paese».
«Secondo uno studio pubblicato dal quotidiano la Repubblica, in materia di trasferimenti statali, nei soli primi 5 anni d’applicazione del regionalismo differenziato alle Regioni del Nord andrebbero 15 miliardi di euro in più di quanto andrebbe a quelle del Sud. Le conseguenze? Per prima cosa, “salterebbero” i livelli essenziali delle prestazioni – ha affermato il sindaco Falcomatà –, mancherebbe la base per la valutazione dei costi-standard e avremmo una sorta di “perequazione al contrario”, con le Regioni meridionali che andrebbero a donare sangue ulteriormente per soddisfare le richieste d’erogazione autonoma dei servizi da parte delle Regioni del Nord».
Il punto però è che il tema non è così astratto come potrebbe sembrare. «Qualche anno fa, quando il presidente dell’Anci era l’allora sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, si stabilì – ha rammentato Falcomatà –che per i Comuni i costi-standard non dovevano essere fissati in base alla popolazione, o all’utenza di un determinato servizio, ma in base all’attivazione o all’inesistenza di quei determinati servizi in quel territorio: se hai in atto il servizio degli asili-nido comunali, significa che in quel territorio di quel servizio c’è bisogno, e quindi te lo finanzio; altrimenti, evidentemente non ti serve. Non è stata quindi operata un’analisi approfondita sul motivo: se Reggio Calabria in quel momento il servizio di asilo-nido comunale non ce l’aveva, non ce l’avrebbe dovuto avere mai… Ecco perché “zero al Sud”. E lì dove non ci sono trasferimenti statali, questi servizi vengono garantiti tramite risorse che dovrebbero essere aggiuntive, e che di fatto si sono ormai caratterizzate come sostitutive di quelle ordinarie: quelle del Fondo sociale comunitario, della coesione sociale. E lo si fa, banalmente, perché l’unica alternativa è non fornirli. E infatti, se nel 2014 Reggio Calabria aveva zero asili-nido comunali e oggi ne ha 4, è stato grazie all’utilizzo dei Pac, i fondi del Piano azione-coesione, risorse esterne ai bilanci dell’Ente e ai trasferimenti statali che ci hanno consentito di riqualificare quelle strutture ed erogare i relativi servizi».
E anche stando all’ultimo rapporto Svimez, «questo regionalismo differenziato, con un aumento indiscriminato delle risorse nei confronti del Nord del Paese, sarebbe l’ennesima e forse l’ultima “pietra tombale” per il Mezzogiorno», è stata la riflessione di Giuseppe Falcomatà: «Al fondo, questa misura costituirebbe un privilegio immotivato. E sancirebbe in maniera definitiva il paradossale principio che certi cittadini italiani hanno la possibilità di vedere garantiti i propri diritti fondamentali e altri che continueranno a non averli, con in più la “nuova” certezza che non li avranno neppure in futuro, perché si tratterebbe di un percorso irreversibile».