di Antonio Mauro

Da 15 giorno manco dal mio sempre dolce paesello (ndr Bova Marina).

Anche se il viaggiare mi fa vivere sempre nuove emozioni, alle volte fuori da ogni immaginazione. Il mio paesello mi manca sempre: mi mancano gli amici, la mia colorata e accogliente casa, la vista del nostro splendido mare, il mio orto, bucissà ecc.. ecc.. Non voglio parlare delle negatività che soffocano il nostro paese; che ci sono e tante. Voglio parlarvi solo delle emozioni  che sto vivendo in questi giorni. Una delle più è quella di aver visto abbracciarsi in lacrime di gioia il mio amore Maricica con le sue due figlie: Petronella e Simona; quest’ultima dopo nove ore del nostro arrivo dà alla luce un bel maschietto.

Certo se uno non è abituato ad adattarsi è meglio che stia a casa propria. Qua mancano tante cose e non tutti sarebbero capaci di adattarsi a vivere neanche per 24. Comunque è sempre stato cosi per i grandi viaggiatori. Basta pensare che a parte la televisione, frigorifero, cellulari, computer, ed internet che sono diffusi alla grande e sono in assoluto entrati nella vita quotidiana in modo particolare nelle generazioni post comunismo. Per il resto la vita è come la ricordo io nei primissimi anni 50 e per certi aspetti era come la raccontavano i miei nonni materni nella loro infanzia.

Nelle campagne un vivere quotidiano con le bestie: galline, scrofe con porcellini, vacche con vitelli, cagne con i cagnolini, cavalli ecc..ecc.. tutto questo che i nostri avi chiamavano masserie. Quasi tutte uguale le case con grandi e coltivatissimi orti, chiuse con rudimentali palizzate di legno. L’unica differenza tra adesso e nel nostro passato è che qui la gente e padrona di quello che ho descritto prima, mentre da noi erano subalterni al servizio spesso di avidi e crudeli patroni.

Naturalmente sto’ parlando della Moldova una delle regioni più fredde e contadine nella parte più estrema a nord est della Romania; confinante con la Moldavia e l’Ucraina.

Piccoli gruppi di queste case; poi per km. q., infinite distese di pianure e colline coltivati a mais, patate, cipolle, avena, grano, girasole, soia e soprattutto erba medica.

Tutti uomini donne, giovani anziani, ognuno il suo ruolo. Anche i bambini impegnati nei lavori del cortile e portare al pascolo le piccole bestie. Non anno tempo per annoiarsi. Non è difficile incontrare una bella e giovane ragazza, anche scolarizzata con magliettine aderenti e pantaloncini ose’ alla Silvana Mangano, con una arpa in mano falciano erba medica e caricare un fascio sulle spalle per portarla alla vacca figliata fresca.

Fanno bene che con quei pochi soldi che riescono a realizzare con piccoli lavori o con le più consistente rimesse degli emigranti, rendono più belle le loro case  Li ammiro nella loro lotta per migliorare la loro vita. Li ammiro pure nell’ostinazione a difendere  e salvaguardare questo esistere di cose e vivere di persone e di bestie nel cuore dell’Europa.

 Dal punto in cui mi trovo mi è facile osservare la vita di questa gente fin quando le colline d’intorno non mi fanno da orizzonte. Là in fondo alla strada di pietrisco ove si alzano nuvole di polvere al passaggio di qualche raro autoveicolo. Per il resto è un andare di carri tirati da muscolosi cavalli; piena di erba medica o di uomini donne e bambini che dopo una giornata nei campi rientrano alle loro case.

Viene la sera, il mio sguardo va’ a ponente al primo orizzonte dove il cielo si arrossa e il crepuscolo avanza annunciando la notte. Questo è il momento più sublime dell’osservare le cose . Il pensiero va’! Con il vento, oltre l’orizzonte; costruisce immagini, epoche, scenari. Doveva essere cosi ne 18 secolo nelle campagne della nostra Italia; quando i nostri poeti si ispiravano vergare immortale poesie. Mi vengono in mente la nebbia e gli irti colli e pio bove di Giosue Carducci, il sabato nel villaggio di Leopardi, Rio Bò di Aldo Palazzeschi, cavallina storna di Giovanni Pascoli.

Qua la gente lavora duro e nelle estate calda e nel rigido inverno, ma, sono liberi: non hanno patroni. Eccoli che si ritirano dalle campagne; stanchi, ma, dignitosi. Tutti uguali sembrerebbe ( forse è cosi) esista una sola classe sociale. Vegliardi mi osservano senza muovere la testa, alzano la mano e mi fanno un cenno di saluto. Rispondo anche io con  un cenno della mano e un umile inchino mentre con l’occhio li osservo  si avviano verso le loro case. Nel mentre la notte cala si sente il profumo della polenta e della carne arrostita sulle loro mense ricche di cibo proteico.