Un’immaginetta di Maria e di altri santi utilizzati nei riti di affiliazione alle cosche; la Bibbia ritrovata accanto a pistole e fucili nei covi dei boss arrestati dalla giustizia; la statua del santo patrono o della Vergine che nelle processioni si ferma, dopo un lungo inchino, sotto la casa del capo mafioso locale; i santuari utilizzati dagli uomini di ‘Ndrangheta per ‘pregare’ prima di ordinare o compiere un omicidio. Eccole le mani sporche di sangue dei gruppi della criminalità organizzata sulla fede, sulla religiosità popolare: un’operazione ancestrale, che si perde nei secoli lontani della fondazione dei sodalizzi criminali, necessaria per deformare e manipolare le coscienze. Una religiosità deviata e piegata alle esigenze della violenza e del sopruso utile per soggiogare ed impaurire le anime devote.
All’indomani della presentazione del nuovo organismo di studio sui fenomeni criminali e mafiosi voluto dalla Pontificia Accademia Mariana Internatinalis, Gennaro Vecchione, direttore del Dipartimento per le informazioni e la sicurezza e monsignor Giancarlo Maria Bregantini, vescovo anti ‘Ndrangheta, ragionano su quale strada intraprendere per depurare la religiosità da pericolose infiltrazioni e deviazioni. La cultura, strumento primario della lotta ai clan