CI SCRIVONO
Gentile direttore,
Matteo Salvini, anche un po’ per andar contro Di Maio e i 5 Stelle dopo il ritiro delle deleghe a Siri, ha rilanciato la lotta alla droga chiedendo ai grillini di ritirare il loro progetto di legge sulla legalizzazione della cannabis e annunciando la chiusura dei così detti cannabis shop che, da qualche anno, sono stati aperti per vendere la cannabis light, quella praticamente senza principio attivo.
Qualcuno dovrebbe spiegare al ministro Salvini che insistere con le politiche proibizioniste sulle droghe leggere rischia di produrre ancora lo stesso risultato: aumentare consumi (o comunque non farli diminuire) e – soprattuto – aumentare i profitti delle mafie.
Della ndrangheta in particolare che proprio grazie ai traffici di droghe illegali, è diventata una potenza economica e ha infiltrato, con i suoi capitali illeciti, l’economia legale investendo a Roma, Milano, Düsseldorf.
Salvini dovrebbe leggere la relazione della DNA, la direzione nazionale antimafia, di qualche anno fa e di cui qui riporto qui un breve tratto:
<<Oggi, con le risorse attuali, >> – spiega Franco Ruperti, allora a capo della direzione nazionale antimafia – <<non è pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale, comprensivo di tutte le droghe (impegno che assorbe già enormi risorse umane e materiali, sicché, spostando ulteriori uomini e mezzi su tale fronte, di conseguenza rimarrebbero “scoperte” e prive di risposta investigativa altre emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione, ecc.) ma, neppure, tantomeno, è pensabile spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe “pesanti” al contrasto al traffico di droghe “leggere”. In tutta evidenza sarebbe un grottesco controsenso. Si può dire, allora, che i dati statistici e quantitativi nudi e crudi, segnalano, in questo specifico ambito, l’affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool>>.
E ancora: <<Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite>>.
In pratica per combattere seriamente le mafie e, in particolare, la ndrangheta, sono gli stessi magistrati dell’antimafia a suggerire, nella relazione presentata al parlamento nel febbraio 2015, di “prendere in considerazione – pragmaticamente e senza pregiudizi proibizionisti o antiproibizionisti – la depenalizzazione dell’intero settore delle droghe leggere” perché ciò, dicono i magistrati, avrebbe due fondamentali vantaggi: sottrarre enormi proventi ai clan e liberare risorse investigative per contrastare fenomeni ben più gravi come la corruzione e l’associazione mafiosa.
Giuseppe Candido
Segretario Associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la miseria-19 maggio