Dalla parola al simbolo: il rischio di un linguaggio sempre più povero

Un pollice alzato, un cuore, una faccina sorridente. In pochi secondi, un messaggio è inviato, un’emozione è “comunicata”. Ma davvero basta un’icona per sostituire una parola? Sempre più spesso, nella vita quotidiana come nel lavoro, ricorriamo agli emoticon per dire ciò che un tempo affidavamo alla lingua. Ed è qui che si nasconde il pericolo: l’atrofizzazione del linguaggio. E del pensiero?

Le parole, un tempo scelte con cura, oggi cedono il passo a simboli universali e immediati. È un linguaggio comodo, veloce, ma anche inevitabilmente povero. Perché ogni volta che rinunciamo a una parola, rinunciamo a una sfumatura, a un pensiero, a un frammento di umanità.

La lingua non è soltanto un mezzo di comunicazione: è lo strumento del pensiero. Quando smettiamo di usarla nella sua pienezza, rischiamo di indebolire anche la nostra capacità di riflettere, di comprendere, di dare forma alle idee. Un semplice ❤️ può valere un “ti voglio bene”, ma non ne restituisce la profondità, né la verità emotiva. E tre ❤️❤️❤️, è amore totale? E cinque ❤️❤️❤️❤️❤️, è attrazione fisica? desiderio sessuale? Se un tempo inviare un cuore era una proposta inequivocabile, ora …

Va a finire che occorrerà un nuovo, integrato e aggiornato sistema metrico internazionale dove compariranno le unità di misura del voler bene, dell’approvazione, del far ridere, ecc.

L’atrofizzazione della lingua è un processo lento, quasi invisibile, ma reale. E non riguarda solo la grammatica o il lessico: riguarda la qualità del pensare. Meno parole significa meno pensieri, meno pensieri significa meno libertà.

Le parole sono un potente mezzo di comunicazione, evitano o limitano al massimo l’equivoco perché ognuna è definita in un certo ambito linguistico e culturale. Ovviamente non esiste una lingua naturale esente da ambiguità e la chiarezza dipende dalla situazione e dalla volontà di chi la usa.

Per inciso il linguaggio simbolico della matematica ovviamente è l’unico universale e privo di ambiguità.

Difendere la lingua, e in particolare la nostra con la sua bellezza, la sua complessità, le sue sfumature non è nostalgia: è un atto di consapevolezza. Gli emoticon possono accompagnare le parole, non sostituirle. Perché la lingua è viva solo se la esercitiamo. E se smettiamo di farlo, smettiamo anche, poco a poco, di capire davvero il mondo che ci circonda.