Solo le capre, ormai, e qualche pastore percorrono la vecchia mulattiera che, silente vestigia d’un tempo migliore, in mezzo a felci e rovi, da Porticella va verso Roghudi.

Tra pietra e pietra le erbe si fan largo e chiazze di verde sporcano il selciato, orfano triste di piede calzato, e sol lo netta l’irrequieta capra.

Mesto fiorisce il pruno e lo sparviere in cerchi, lento volando, invan cerca leprotti. Lontano, laggiù, si vede il mare. E questa desolazione figlia dell’antica tragedia pare.

Vaga il ricordo e al suo tornar rivive chi narrò di colei che, abborrendo il combinato abbraccio, preferì quello gelido della morte ché quello dell’amato le negarono il fato ed ancestral costumi.

Colei che gonfia d’amarezza, s’affrettò, muta, all’infido ciglio e alle rocce volò con movimento presto. Rosso si tinse allor l’abito bianco ed il nuzial corteo si volse in mesto.

E tra le rocce, dove salta e vola, sgomento questo vide il merlo roccaiuolo e ancor lo canta. Lo canta il merlo perché il canuto vecchio più non lo racconta alla fanciulla alla lacrima pronta ed al sospiro.

Ed il ruscello, che sempre l’ascolta, di balza in balza a tutti lo ripete, mentre corre tra oleastri e rovi, quasi avesse fretta di allontanarsi da quelle rocce tinte di un rosso che non sa lavare, e, poi, giunto al piano, dopo aver dato sollievo agli assetati peri lucandiàrichi [1], disperde in mille rivoli l’acque argentate fra l’argentata sabbia d’Amendolea.

Lì muoion le acque e muore la leggenda.

Forte a notte singulta la civetta e pare il pianto della pentita madre.


[1] Varietà di pero.

REDAZIONE: Passo della zita, leggendaEscursione